Dopo quindici minuti d’attesa in cui gli Yes sembrano farsi desiderare come una splendida donna alla quale hai dato appuntamento e tarda a farsi riconoscere ecco finalmente le note dell'overture dell'uccello di fuoco sulla quale gli yes incominciano a scaldare i loro strumenti.
Presenti on stage...un imbolsito, ma eccezionale Steve Howe, il tenace e prestante Alan White, l'etereo Jon Anderson, il mitico ed inossidabile Chris Squire fino all'immarcescibile mr.Rick Wakeman on keyboards. E' il 35 anniversario degli Yes e ci sono proprio tutti nel tour celebrativo, nessuno escluso formazione originale...da brividi.
All'inizio il gruppo è tirato e poco propenso a concedersi alla gente, probabilmente sono abbastanza alterati dal fatto che la Pfm abbia suonato così tanto, forse oltre il pattuito, tanto è vero che la scaletta degli yes, rispetto ad altri concerti, sarà, purtroppo sforbiciata di buoni 50 minuti; continuano però con il formidabile brano omonimo dall'lp del 1977 "Going for the one" e da qui...l'incanto. La base ritmica Squire/White è possente ed arriva come un pugno allo stomaco che non fa male, la chitarra di Howe assolutamente divina a tessere la tela e la voce di Anderson particolare e insostituibile. Il solo Wakeman sembra ancora un po' al di fuori della scena con grossi problemi alle tastiere che non vogliono saperne di andare come vorrebbe lui.
Si va avanti con una buona versione di "sweet dreams" dal poco noto "time and a word" del 1970 un pezzo che non mi sarei aspettato di ascoltare di certo. Di nuovo brani famosi come "I've Seen All Good People" e finalmente anche il buon Jon Anderson, un po' scuro in volto all'inizio del concerto, si scioglie come burro. Adesso non ci sono più barriere tra gli yes e la gente assiepata ogni dove...solo una grande unica emozione difficile da descrivere con parole comuni.
Con "mind drive" si va a toccare una produzione abbastanza recente e sarà l'unico pezzo dove Alan White si scatenerà alla batteria usando dei timpani completamente fuori ordinanza azionati a pedali; chiaramente tutto quel ben di dio di batteria usata per un pezzo soltanto fa chiaramente capire che il concerto è stato purtroppo troncato per motivi di tempo.
Quindi improvvisamente altre emozioni allo stato puro: la "killer" intro di "Yours is no disgrace" ed un boato da stadio rimbomba nella sonnacchiosa cittadina dell'oltrepò. Howe cambia tre chitarre durante il pezzo per ottenere il massimo risultato e Wakeman finalmente, trova di colpo l'armonia con le sue tastiere; non riuscirà a sorridere nemmeno ora, ma dio santo come suona!!! Tutti fuori meno Steve Howe che ci delizia con la consolidata "the clap" e apparizione successiva di Wakeman che dalle sei mogli di Enrico ottavo estrae dal cilindro la terza: Jane Seymour regalandoci il suo assolo di tastiere. Il tempo sembra non sia passato per nulla, le esecuzioni sono impeccabili e la stessa Pfm autrice di un grande concerto sembra spazzata via da una classe veramente differente...la classe... Yes!
Tutti sul palco per "Long distance Runaround" e per l'assolo di Squire in "the fish" entrambe tratte da "Fragile" del 1972. Ormai non sento nemmeno più la stanchezza, le gambe molli sono solo un ricordo subissato da un'orgia di sonorità impeccabili e così attento ad afferrarle tutte, come di rado capita in quei momementi dove vorresti che non sfuggisse proprio niente e che restassero indelebili, per sempre, a marchiare un evento.
Siamo ormai quasi in dirittura di arrivo perché gli Yes attaccano "Owner of a lonely heart", un pezzo che Howe odia da sempre, ma che lo stesso chitarrista esegue con una maestria tale da sotterrare il sudafricano Trevor Rabin chitarrista degli Yes al tempo della dipartita di Howe e co-autore del medesimo pezzo. Rythm Of Love da "Big generator" del 1987 è forse il brano più debole del concerto, ma subito con una sconvolgente versione di "And You and I " seguita dalla mitica "Starship Trooper" con il famoso duello Tastiere/chitarra tra Wakeman e Howe che avevo potuto in precedenza ammirare solo nei filmati, i cinque "eterni ragazzi" inglesi ci regalano l'impossibile.
E' finita, ma non se ne va nessuno, nemmeno le zanzare che però, forse stregate da tanta magia, o forse per la pancia piena, hanno smesso di mordere. E in mezzo ad un mare di braccia tese gli Yes ritornano sul palco e attaccano "Roundabout" per quello che sembra una gigantesca e viscerale orgia di commiato. Poi il silenzio. E' tardissimo, la gente sfolla, le mie gambe sono anchilosate, di colpo mi ritrovo tutti i miei 43 anni e penso che, allora, meno male che sono venuto con amici e che la macchina, al ritorno, non la guido io.
p.s. La scenografia è quella originale di Roger Dean a mio giudizio stupenda. Notate i timpani a petalo nella batteria di White azionati a pedale. Tutto quel ben di dio usato una volta sola. Uno spreco!
************************
"Poi succede che all'improvviso, guardandoti allo specchio, dirai di chi è quel viso?
Non è il mio, non c'è un sorriso.
Il tempo dei segreti, dei sogni e dell'oblio non è più il mio..."
(Aldo Tagliapietra)
************************