Il disco è di quelli particolari, molto particolari e forse dovrei indirizzarlo solo a quelli di noi che hanno sensibilità certa per la musica etnica; però poi ti rendi conto che la contaminazione di questo piccolo capolavoro ha un valore universale, che va ben al di là delle specifiche tendenze del singolo o delle catalogazioni di comodo.
Comunque sia, Lambarena è lo straordinario risultato della scommessa di un gruppo di musicisti classici europei e musicisti popolari africani, che danno vita ad un ensemble musicale che reinterpreta la musica di JS Bach con l'inserimento di percussioni africane e di melodie e voci tipiche di quella terra.
Non ci sono precedenti simili nella produzione discografica internazionale di oggi: quando, anni fa, comprai per la fretta del momento il disco a scatola chiusa, spinto dall’occasionale lettura di una recensione non so più dove, temevo che si trattasse di un azzardo eccessivo, ma mi sono dovuto ricredere. Il disco va via che è un piacere, molto raffinato e al tempo stesso di una passionalità struggente, manco si trattasse di un lavoro originale di Bach scoperto in chissà quale cassetto di una scrivania di Lipsia: il livello musicale è altissimo, con un'incredibile varietà di timbri, ritmi e dinamiche, e gli arrangiamenti geniali combinano le architetture sonore costruite da Bach con i canti e i ritmi tradizionali del Gabon (ascoltatevi in particolare Okoukoué, dove su una danza di iniziazione maschile viene inserita la Cantata 147 di Bach e Mayingo, nel quale un coro classico s'inserisce su quello africano interpretando il canto tradizionale con una fuga tipicamente bachiana).
Lambarena è del 1993, ed è ispirato ad una contaminazione ancora più nobile: la figura del dr. Schweitzer. L'idea originale è di Mariella Bertheas, gli arrangiamenti di Pierre Akendengue e Hughes De Courson, e tra gli ospiti figurano due nomi noti della World Music: Nana Vasconcelos e Samì Ateba (percussioni). Casa editrice è la Melodie Records, distribuita da IRD.
Finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza de mä.
(Fabrizio De Andrè, 1984)