FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI

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a.scaglioni
00lunedì 16 settembre 2013 19:30
Vista la lunghezza che questo articolo rischia di assumere, ho pensato che fosse meglio cominciare a pubblicarlo e considerato il tema, mi pare anche giusto farlo a puntate [SM=g27835] . Non so in quante parti lo suddividerò e quanto tempo mi ci vorrà per completarlo, ma un buon sistema è sempre cominciare dall'inizio. Quindi iniziate a leggerlo e buona cavalcata in un tempo ed una tv che non esistono più. Spero che lo gradirete.
a.scaglioni
00lunedì 16 settembre 2013 19:30
FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non c'è più

di A. Scaglioni

Nell'attuale mondo della televisione italiana, con canali satellitari, digitali terrestri, tematici, on demand e via web, con un pubblico che è ormai abituato a seguire quello che vuole, quando, dove e come vuole, e in cui un programma che raccoglie quattro o cinque milioni è un grandissimo successo, può sembrare impossibile che, solo qualche decennio fa, in una televisione ancora in bianco e nero con due canali solamente ci fossero trasmissioni che registravano ascolti tre o anche quattro volte superiori e che svuotavano le vie e le piazze, i locali notturni ed i cinematografi nelle sere in cui andavano in onda. Di cosa si trattava? Del Festival di Sanremo? Dei Mondiali di Calcio? Della serata finale della Lotteria di Capodanno, o delle Olimpiadi? O magari di qualche quiz milionario? Nonostante tutti questi generi raccogliessero intorno a sé grandi consensi, le trasmissioni a cui mi riferisco nascevano dalla fervida mente di un signore di nazionalità inglese, la cui foto potrebbe sembrare più quella di un bancario che di un prolifico romanziere, e il cui nome oggi nel nostro paese è ricordato quasi esclusivamente da persone dalla mezz'età in su, che in quelle sere di cui parlavamo si radunavano insieme ai genitori, ai nonni, fratelli e sorelle, cugini e zii, intorno all'apparecchio televisivo per seguire la nuova puntata di "La sciarpa", "Paura per Janet", "Melissa" ed altri titoli che tra gli anni '60 e '70, fino a sfiorare il decennio successivo, tennero con il fiato sospeso per settimane milioni e milioni di spettatori. Il signore in questione si chiamava Francis Durbridge.
Nato in un paesino dello Yorkshire, Hull, nel 1912, Durbridge fu incoraggiato a darsi alla scrittura da un suo insegnante che ne scorse le potenzialità, e fin dall'inizio dimostrò una predilezione per le storie di crimine e mistero. Il suo modello era il famoso scrittore di mysteries, Edgar Wallace ("Se riuscissi solo a diventare bravo la metà di Wallace" era solito ripetere il giovane Durbridge, che all'epoca era ben lungi anche soltanto dal sognare che un giorno ne sarebbe stato considerato un erede), e già nel 1933 poco più che ventenne scrisse e riuscì a far mandare in onda dalla BBC il suo primo radiodramma, "Persuasion".
Il successo però non dovette essere immediato, se per poter firmare un secondo radiodramma, "Information Received", fu costretto ad attendere altri cinque anni. Ma proprio in quell'anno, il 1938, Durbridge fece il passo decisivo che gli avrebbe finalmente tributato il successo: con il suo terzo radiodramma, "Send for Paul Temple", creò la figura dello scrittore, criminologo e investigatore per diletto, che l'avrebbe reso famoso.
Per il trentennio successivo, Paul Temple, insieme alla moglie Steve, avrebbe formato una delle coppie più inossidabili del giallo all'inglese, protagonisti di oltre venti radiodrammi, la maggior parte dei quali trasformati poi in romanzi (con la collaborazione di altri scrittori che s'incaricavano di rendere letterariamente le storie radiofoniche di Durbridge), e anche di alcuni romanzi tout-court, scritti espressamente dallo stesso Durbridge. Apparso anche in alcuni film negli anni '40, e in una serie a fumetti negli anni '50, negli anni '70, poi, Temple venne ulteriormente trasposto in una serie tv, una coproduzione anglo-tedesca, interpretata da Francis Matthews e Ros Drinkwater, che gli diede notorietà in tutto il mondo (anche se nessuno degli episodi fu firmato da Durbridge, che concesse il suo nome solo come creatore della serie), divenendo così uno dei primi personaggi multimediali della storia del poliziesco.
Ma la vera popolarità Durbridge la raggiunse con l'avvento della televisione. Dagli inizi degli anni '50 fino al 1975, produsse circa una ventina di copioni originali per la BBC che fecero il giro d'Europa, con un metodo singolare, visto con gli occhi di oggi: non venivano, cioè, esportati e doppiati nelle varie lingue gli sceneggiati inglesi, ma ogni paese che acquistava i diritti di riproduzione delle storie di Durbridge, ne realizzava una propria versione, nella lingua e con attori del posto. Insomma oggi diremmo che le varie televisioni nazionali si limitavano ad acquistare i format delle varie mini-serie per riprodurli poi con i propri mezzi, riadattandoli ai gusti del loro pubblico. Quindi esistono versioni tedesche, svedesi, francesi, polacche ed italiane di "Melissa", forse il più popolare giallo scritto da Durbridge, così come di tante altre sue storie per la tv.
Nel nostro paese, il Durbridge televisivo arriva piuttosto in ritardo, nel 1963 con "La sciarpa", il suo decimo copione, ma il suo nome non era del tutto sconosciuto agli amanti del giallo, visto che la Rai aveva già prodotto fin dal 1953, diversi suoi radiodrammi a puntate, quasi tutti con protagonista Paul Temple, interpretato di volta in volta da vari attori della Compagnia di Prosa di Firenze, con buoni ascolti ed ottimo gradimento. Tuttavia, i vertici aziendali della tv di stato non erano probabilmente preparati a quello che avrebbe significato un giallo a puntate nelle serate televisive, piuttosto soporifere, dell'epoca. Fino ad allora infatti, nonostante il buon, se non ottimo, gradimento che le vicende poliziesche avevano sempre registrato, non avevano mai convinto i paludati e un po' ingessati dirigenti Rai ad andare oltre la trasmissione di qualche isolato film o telefilm americano ("Perry Mason" era la serie gialla più popolare di quei tempi, ma anche una delle poche). La cosa più vicina ad un serial che la Rai avesse prodotto era "Giallo Club", una specie di quiz in cui ai concorrenti, invece che domande musicali o di cultura varia, veniva proposto settimanalmente un enigma poliziesco, recitato nelle prime stagioni dal vivo da attori in studio, e successivamente registrato, a cui erano chiamati a dare una soluzione, prima che l'investigatore risolvesse il caso. (Per la cronaca, l'investigatore in questione era quel tenente Sheridan, interpretato da Ubaldo Lay, che negli anni a venire sarebbe diventato un pilastro, insieme al Maigret di Gino Cervi e al Nero Wolfe di Tino Buazzelli, del giallo televisivo della Rai.) Ma sia pur con questa formula mista di gioco e fiction, i mini sceneggiati, scritti da Casacci, Ciambricco e Rossi che, per poco meno di due anni, tra il novembre del 1959 e l'aprile del 1961, calamitarono ogni settimana milioni di spettatori per ventiquattro episodi divisi in quattro cicli, non riuscirono ad indurre i succitati dirigenti a porre maggior attenzione al genere poliziesco, convinti come erano forse della missione culturale a cui erano chiamati, e ritenendo il giallo un prodotto troppo effimero per spenderci tanto tempo e mezzi. Sempre con gli occhi di oggi, viene da sorridere al pensiero che una televisione moderna, dopo un successo come quello di "Giallo Club", avrebbe prodotto almeno duecento episodi e non meno di dieci stagioni! Sta di fatto, comunque, che il pubblico italiano dovette attendere altri due anni, perché al giallo fosse finalmente tributato uno spazio degno in prima serata, sul da poco nato Secondo Programma, e l'onore di aprire quella che si sarebbe poi rivelata negli anni una proficua carrellata di successi fu proprio dello sceneggiato di Durbridge che esordì sul Secondo Programma lunedì 11 marzo 1963.
Ecco grazie all'aiuto delle note illustrative, tratte dal Radiocorriere TV di quelle settimane (uniche testimonianze rimaste, vista l'irreperibilità del materiale video negli archivi Rai), un succinto richiamo della trama: il cadavere di una donna strangolata con una sciarpa di seta viene ritrovato nel terreno di una fattoria, a Littleshaw, piccolo centro abitato a pochi chilometri da Londra. La vittima è una giovane attrice e fotomodella, Barbara Collins, legata sentimentalmente al ricco proprietario di una catena di riviste femminili e notorio playboy, Clifton Morris (Franco Volpi). Da subito, all'ispettore Jett (Aroldo Tieri), la posizione di Morris appare pesantemente compromessa, infatti, non solo la sciarpa usata come arma del delitto è simile a quelle comunemente usate dall'editore, ma a poca distanza dal luogo del delitto viene anche rinvenuto un accendisigari d'oro, di proprietà dell'uomo che afferma di averlo smarrito qualche giorno prima. Naturalmente, Morris non è il solo sospettato sulla lista della polizia. Insiema a lui, sia pur con indizi meno evidenti, ci sono anche il proprietario della fattoria in cui è stata ritrovata la giovane, Alistair Goodman (Roldano Lupi), la sua fidanzata ed amica della vittima, Marian Hastings (Liana Trouché), e diversi altri. Ma il destino sembra accanirsi particolarmente solo contro il povero Morris che procuratosi un alibi per la sera del delitto, una sua amica afferma di essere stata in sua compagnia, se lo vede sottrarre tragicamente quando anche quest'ultima viene ritrovata strangolata con un'identica sciarpa di seta, proprio nel suo appartamento. Starà all'ispettore Jett dipanare l'insidiosa ragnatela d'indizi che qualcuno sembra aver teso intorno allo sfortunato playboy.
Diretto da Guglielmo Morandi, tradotto da Franca Cancogni, che qui fa il suo esordio come adattatrice italiana dei copioni all-british di Durbridge (di cui poi avrà quasi l'esclusiva anche per la radio), e con uno stuolo di giovani e meno giovani attori teatrali e televisivi, tra cui ricordiamo, oltre ai già citati, Ivano Staccioli, Ugo Pagliai, Nando Gazzolo e Francesco Mulè, "La sciarpa" fu realizzato quasi completamente in studio, dove furono anche ricostruiti ambienti e strade della cittadina inglese in cui si svolge la vicenda, e spostando la troupe per i pochi esterni nei pressi di una tenuta, situata sulla Cassia, che ricordava molto le classiche strutture edilizie britanniche. Evidentemente, ancora i produttori Rai erano lontani dall'autorizzare costose trasferte nelle località estere originali dove erano ambientate le storie di Durbridge, cosa che avverrà in seguito sull'onda del successo delle vicende gialle escogitate dal maestro inglese, e sicuramente un "esperimento", come poteva a tutti gli effetti essere considerato questo, non incentivava allo sperpero delle risorse. Inoltre, la programmazione venne effettuata con una formula "bi-settimanale", piuttosto insolita per l'epoca, per uno sceneggiato, andando in onda ogni lunedì e mercoledì, dopo le 21, per sei puntate. Ulteriore prova di una cautela anche eccessiva da parte dei vertici Rai nell'affrontare questo nuovo modo di proporre una storia poliziesca: in caso d'insuccesso, evidentemente, si pensava a limitare i danni riducendo il numero delle settimane.
Ma ogni timore che ci fosse stato si rivelò privo di fondamento. "La sciarpa" ebbe ascolti notevolissimi, quasi sei milioni di spettatori (un risultato di grande rilievo, se si pensa che, ad esempio, il lunedì la concorrenza era rappresentata dai seguitissimi appuntamenti con il cinema dei grandi attori di Hollywood sul Programma Nazionale, e il Secondo Programma era un optional per moltissime famiglie che avevano ancora vecchi televisori che non lo ricevevano), e anche l'indice di gradimento raggiunse punte dell'ottanta per cento. Ma il giallo a puntate di Durbridge conquistò un altro importante risultato: insieme al calcio e alla politica divenne argomento di conversazione tra la gente nei bar, nei negozi, o dal parrucchiere. La "caccia al colpevole" ancora una volta elettrizzò il pubblico, come ai tempi di "Giallo Club", con la grossa differenza però che questa volta l'enigma non si risolveva nel giro di una sola sera, e poteva essere discusso e commentato per giorni, mentre le ipotesi sull'identità dell'assassino da parte della gente si accavallavano. Alcuni quotidiani colsero questo interesse e il mattino dopo ogni nuova puntata pubblicavano articoli che riassumevano la vicenda fino a quel momento ed enumeravano i vari sospettati come se si fosse trattato di un autentico caso criminale. La sera dell'ultima puntata, poi, si notò che al cinema e nei locali pubblici in genere che non disponevano di una saletta tv, l'afflusso nell'ora in cui andava in onda la trasmissione aveva subito cali rilevanti. Insomma, la Rai aveva trovato un filone d'oro e da quel momento ne avrebbe attinto a piene mani per molti anni a venire.

(1. continua)
Lucawenz
00lunedì 16 settembre 2013 21:41
Ottimo! [SM=g27811]
Aspetto le puntate successive!
ba1ba2
00martedì 17 settembre 2013 09:18
mi raccomando ... le puntate devono essere almeno 5 o 6!

[SM=g27828] [SM=g27828]




a.scaglioni
00martedì 17 settembre 2013 12:04
Tranquilli, [SM=x520488] datemi solo il tempo di scriverle. E [SM=x520508] per l'accoglienza.
clopat
00mercoledì 18 settembre 2013 15:05
Complimenti anche da parte mia [SM=g27811]
Tidus forever
00mercoledì 18 settembre 2013 18:15
Re:
a.scaglioni, 16/09/2013 19:30:

Vista la lunghezza che questo articolo rischia di assumere, ho pensato che fosse meglio cominciare a pubblicarlo e considerato il tema, mi pare anche giusto farlo a puntate [SM=g27835] . Non so in quante parti lo suddividerò e quanto tempo mi ci vorrà per completarlo, ma un buon sistema è sempre cominciare dall'inizio. Quindi iniziate a leggerlo e buona cavalcata in un tempo ed una tv che non esistono più. Spero che lo gradirete.



Complimenti! [SM=x520488]

A lavoro ultimato, se non hai nulla in contrario, si potrebbe anche pubblicare sul sito di Vicolo Stretto.

[SM=x520499]

a.scaglioni
00giovedì 19 settembre 2013 18:22
Assolutamente niente in contrario, anzi ne sono lusingato ed onorato. [SM=x520497]
Grazie ancora e restate sintonizzati. La seconda puntata è in dirittura d'arrivo.
elluas59
00giovedì 19 settembre 2013 23:56
Bravo, Complimenti! [SM=x520497] [SM=g27811]
In questo forum ne trovi di appassionati ed esperti di sceneggiati, films, telefilms,etc, di quegli anni.
allora aspettiamo la seconda puntata. [SM=x520510] [SM=x520508] [SM=g27811]
a.scaglioni
00venerdì 20 settembre 2013 17:51
Ed eccomi con la seconda puntata di quella che ho definito anche una cavalcata attraverso una televisione o piuttosto un modo di fare televisione che non esiste più. Ormai stancherò anche con tutti i miei ringraziamenti, ma davvero vorrei dire che sono quasi commosso dall'accoglienza che mi avete fatta. [SM=g27819] Ma non poniamo ulteriore tempo in mezzo e partiamo.
a.scaglioni
00venerdì 20 settembre 2013 18:02
FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non esiste più

di A. Scaglioni

Seconda puntata

Se la Rai poteva avere dimostrato cautele eccessive nella preparazione e nella programmazione de "La sciarpa", dobbiamo almeno riconoscere ai dirigenti dell'epoca di aver capito velocemente l'errore di valutazione fatto. L'eco del successo di quel primo sceneggiato giallo non si era ancora spenta che già l'emittente di stato ne metteva in cantiere un secondo ancora tratto da uno script televisivo di Durbridge, mentre quasi contemporaneamente veniva prodotta, dopo due anni di silenzio dalla fine di "Giallo Club", una nuova serie di telefilm con protagonista il tenente Sheridan, ma stavolta senza gioco a quiz abbinato, "Ritorna il tenente Sheridan", sei episodi autoconclusivi mandati in onda addirittura sul Programma Nazionale e di domenica in prima serata, l'orario canonico dei grandi sceneggiati, ad ulteriore testimonianza di un nuovo rispetto ed interesse da parte della dirigenza nei confronti del giallo.
Il nuovo sceneggiato di Durbridge, che in quell'estate del 1963 ancora non aveva un titolo italiano, s'intitolava nella sua versione originale, trasmessa dalla BBC nel 1957, "A Time of Day", e conteneva nella trama un elemento che avrebbe sicuramente acuito l'attenzione e alzato i livelli d'ansia del pubblico ben al di là della classica "caccia al colpevole", e cioè il rapimento di una bambina.
Nuovamente dobbiamo ricorrere alle insostituibili informazioni del Radiocorriere TV per ricostruire sia pur per sommi capi una storia di cui negli archivi Rai sembra non esserci più traccia: Janet Freeman, la figlia decenne di Clive Freeman, scienziato ricco e famoso, sparisce inspiegabilmente un giorno da scuola. Il rapimento appare subito piuttosto singolare. Infatti per molti giorni nessuno si fa vivo per chiedere un riscatto, gettando nell'angoscia il padre e la madre, Lucy, che non riescono a spiegarsene le ragioni. In realtà, la famiglia Freeman era tutt'altro che una famiglia felice anche prima della sparizione di Janet. I due coniugi, infatti, erano ormai ad un passo da un furioso divorzio, e tra le ipotesi sul movente, la polizia, nella persona dell'ispettore Kenton, non esclude possa esserci l'interesse di uno dei due genitori a sottrarre all'altro la custodia della bimba. Resterebbe da capire eventualmente chi dei due, anche se le maggiori attenzioni si appunterebbero su Clive, il padre, che andava spesso a prendere la piccola a scuola e che possiede una macchina dello stesso modello di quella con cui sarebbe stata vista allontanarsi Janet all'uscita. Tuttavia anche altri possibili moventi sono considerati con attenzione dalla polizia. Freeman infatti aveva allo studio nei suoi laboratori importanti scoperte, e in tal caso Janet avrebbe potuto essere stata rapita da un'organizzazione di spie interessata a ricattarlo per acquisire segreti da poter rivendere a delle potenze straniere (siamo ancora in tempi di piena guerra fredda). Nel suo evolversi, come ogni buon giallo che si rispetti, la vicenda si arricchirà di un paio di cadaveri che renderanno ancora più assillante la nuova domanda che il pubblico italiano si sarebbe ripetuto sintonizzandosi sul Secondo Programma ogni lunedì e giovedì alle 21,15, dal 2 dicembre, fino al suo scioglimento tre settimane dopo, il 18 dicembre 1963, un mercoledì però, vedremo poi perché, ad un passo dal Natale: "Chi ha rapito Janet, e che ne sarà stato di lei?"
"Paura per Janet", il titolo che la produzione italiana aveva scelto alla fine per lo sceneggiato, si adattava quindi molto bene anche allo stato d'animo dei telespettatori del bel paese, sempre pronti a commuoversi per la sorte di un bambino, e la scelta della piccola attrice che avrebbe interpretato il ruolo della bimba scomparsa venne attentamente effettuata dal regista Daniele D'Anza e dai suoi collaboratori, che indirono addirittura un concorso in tutta Italia per cercare il volto adatto per Janet. Tra le migliaia di candidate venne scelta infine la piccola Silvana Valci, che con i suoi capelli rossi e le sue efelidi, ben si adattava al ruolo di una bimbetta inglese. Intorno a lei, facevano corona Aroldo Tieri, di ritorno dopo "La sciarpa" nel ruolo del padre Clive Freeman, Valentina Fortunato, in quello della madre Lucy Freeman, Massimo Girotti, l'avvocato e amico di famiglia Lawrence Howard, e Ernesto Calindri che con i suoi baffetti e quell'aria serafica very british, era un perfetto ispettore Kenton, con tanto di bombetta.
Lo sceneggiato venne girato come il precedente in buona parte a Roma in studio, dove vennero ricostruiti molti scorci di strade di Londra, oltre agli interni di casa Freeman, ma per la prima volta furono autorizzati anche brevi trasferte in Inghilterra per riprendere alcuni luoghi tipici della capitale britannica, come Piccadilly Circus o la Victoria Station, per dare un sapore ancora più realistico alla vicenda.
Inoltre, ormai consci dell'importanza di mantenere il segreto assoluto sulla conclusione del giallo e sull'identità del colpevole, solo il regista e i suoi più stretti collaboratori, in primis Franca Cancogni, che aveva tradotto ed adattato anche il nuovo Durbridge, erano al corrente del contenuto delle ultime pagine del copione, mentre gli stessi protagonisti furono tenuti all'oscuro fino all'ultima puntata. Vuole la leggenda che quelle mitiche pagine finali dei tre unici copioni che contenevano l'identità del colpevole, fossero state distrutte in presenza di D'Anza perché non potessero finire in mani sbagllate. Tutte queste precauzioni che potrebbero apparire esagerate, e anche un po' ridicole, avevano una loro precisa ragione d'essere: come ho già detto, molti quotidiani e riviste di spettacolo, già con "La sciarpa", avevano intuito le potenzialità d'interesse che articoli riguardanti il nascente genere del giallo televisivo a puntate, e la conseguente ridda di ipotesi su "come sarebbe andata a finire", sapevano sollevare nei lettori, e quindi editori e redattori lanciavano i loro reporter alla caccia d'indizi d'ogni genere sui set dove si girava un nuovo giallo nella speranza di godere di ghiotte anticipazioni da gettare in pasto al proprio pubblico. Pensate cosa avrebbe potuto significare entrare in possesso delle pagine finali di un copione. Una fortuna per il giornale che ci fosse riuscito, ma una rovina per la produzione che si sarebbe vista "bruciare" il colpo di scena più atteso dagli spettatori, rischiando di minare fortemente il livello degli ascolti.
La questione causava paranoie notevoli ai dirigenti Rai che poco meno di due anni dopo avrebbero avuto modo di toccare con mano cosa voleva dire esattamente, quando per un errore di tempistica, il romanzo di Casacci e Ciambricco "La donna di fiori", tratto dall'omonimo sceneggiato giallo con il tenente Sheridan, che stava andando in onda proprio in quei giorni, uscì in edicola non la settimana dopo la trasmissione dell'ultima puntata, come previsto dagli accordi, ma la settimana prima! Il risultato fu che le edicole vennero prese d'assalto dai lettori che non vedevano l'ora di sapere chi fosse l'assassino, e la produzione perse una buona percentuale di ascolti proprio nella puntata conclusiva. Inutilmente la Rai cercò di rivalersi legalmente sulla casa editrice del libro, nel tentativo di dimostrare che l'errore era stato in realtà voluto. E l'ipotesi era tutt'altro che assurda, dato che ci voleva poco a capire che pubblicare la soluzione del giallo con una settimana d'anticipo avrebbe significato decuplicare le vendite. Purtroppo però non fu possibile dimostrare il dolo e la tv di stato si ritrovò nel classico ruolo del "becco e bastonato". C'è da stupirsi che, con il passare degli anni, i metodi "anti-spionaggio" si facessero sempre più sofisticati? E tuttavia, come vedremo, non sempre sarebbe stato sufficiente, costringendo registi e scrittori ad incredibili equilibrismi per impedire la fuga di notizie.
Ma non precorriamo i tempi, e torniamo a quel dicembre 1963 ed a "Paura per Janet". Nonostante il rilievo dato sulla stampa al giallo, certamente non inferiore a quello ricevuto dal suo predecessore, ci fu una notevole differenza nei dati sull'accoglienza del pubblico rispetto a "La sciarpa". Mentre infatti, l'indice di gradimento si mantenne stabile, guadagnando anzi un paio di punti, 82 contro 80, gli ascolti registrarono un calo piuttosto ragguardevole: circa due milioni di spettatori in meno, che rientravano sì nella media della rete cadetta, ma che risultavano tuttavia inspiegabili sulla scorta di quelli che erano stati invece i risultati ottenuti il marzo precedente con l'altro sceneggiato dello stesso autore, sullo stesso canale e alla stessa ora. Probabilmente, "Paura per Janet" pagò l'infelice collocazione del giovedì, quando a fargli concorrenza sul Programma Nazionale, c'era "Gran Premio", quello che oggi chiameremmo un talent-show, incentrato su un torneo regionale che aveva come protagonisti cantanti, attori, fantasisti dilettanti di ogni genere, e provenienti da tutte le regioni italiane che divisi in squadre si affrontavano ogni settimana nelle loro rispettive specialità, spalleggiati di volta in volta da famosi personaggi dello spettacolo che erano originari ciascuno di quella o di quell'altra regione e che facevano loro da padrini o madrine. Il varietà, presentato dal popolarissimo Carlo Campanini, indimenticabile spalla comica di grandi attori come Totò o Walter Chiari, era per di più abbinato alla Lotteria di Capodanno. Quanto di più nazional-popolare si potesse pensare per monopolizzare l'attenzione dello spettatore di casa nostra. Quando il giallo di Durbridge iniziò, "Gran Premio" era già in onda da settimane e si era costruito un suo pubblico numerosissimo e fedelissimo che certamente non avrebbe rinunciato a seguire e sostenere i beniamini della propria regione, specialmente nella speranza di vincere i ricchi premi che erano loro abbinati, per seguire le indagini di Calindri, e quindi questo finì per ripercuotersi negativamente sugli ascolti dello sceneggiato. All'epoca, poi, le rilevazioni di quello che si chiamava il "Servizio Opinioni", e che serviva appunto a percentualizzare il numero di spettatori ed il gradimento di ogni programma televisivo e radiofonico, arrivavano con molta più lentezza, e quindi i dirigenti Rai si resero conto solo con molto ritardo della situazione, correndo ai ripari solo all'ultima puntata che fu anticipata così al mercoledì, ma troppo tardi per risollevare in maniera evidente i dati di ascolto.
Tuttavia questa parziale debacle, non era certo da imputare alla storia di Durbridge, che aveva comunque ottenuto, come abbiamo visto, un altissimo indice di gradimento tra chi aveva seguito la vicenda, e oramai il giallo a puntate era comunque un genere "sicuro" su cui la Rai era disposta a puntare. Di lì a poco infatti, sarebbe partita la realizzazione delle prime storie di Georges Simenon con protagonista il commissario Maigret, interpretato dal grandissimo Gino Cervi, e si cominciava a pensare che anche il popolarissimo Sheridan di Ubaldo Lay, che aveva confermato con la recente nuova serie il suo successo presso il pubblico televisivo, fosse maturo per affrontare un caso poliziesco ad ampio respiro, ma i tempi della Rai di quegli anni, priva di concorrenza e non costretta come quella degli ultimi decenni ad inseguire mode e tendenze, erano lunghi, e quest'ultimo evento, come abbiamo già visto, non si verificherà che due anni dopo, nel 1965. Mentre per assistere al ritorno di Francis Durbridge con un nuovo giallo ci vorrà ancora più tempo, quasi tre anni, ma quando avverrà sarà valso la lunga attesa.

(2 - continua)

elluas59
00venerdì 20 settembre 2013 23:40
Che dire?
Ancora complimenti.
Degno del miglior Lucawenz e Tidus.
Qui sei proprio nel tuo forum giusto. [SM=g27811] [SM=x520497]
a.scaglioni
00sabato 21 settembre 2013 11:04
elluas59, 20/09/2013 23:40:

Che dire?
Ancora complimenti.
Degno del miglior Lucawenz e Tidus.
Qui sei proprio nel tuo forum giusto. [SM=g27811] [SM=x520497]



E sono ben lieto di esserci! [SM=x520488] Grazie e alla prossima puntata. [SM=x520510]
Lucawenz
00sabato 21 settembre 2013 16:19
[SM=g27811] [SM=x520497] [SM=x520506]
a.scaglioni
00giovedì 26 settembre 2013 19:42

FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non esiste più

di A. Scaglioni

Terza puntata

Erano trascorsi quasi tre anni da "Paura per Janet", ma non erano trascorsi invano. Nel frattempo, la Rai aveva prodotto e trasmesso due serie de "Le inchieste del commissario Maigret" con Gino Cervi (otto sceneggiati di varia durata per un totale di diciotto puntate), "La donna di fiori", prima indagine "lunga" (sei puntate) per il tenente Sheridan di Ubaldo Lay, e altri due cicli di una serie giallo-rosa con Lauretta Masiero e Aldo Giuffre', "Le avventure di Laura Storm", e tutte con grandissimo successo. Volendo, potremmo anche inserire l'incubo di tutti i bambini, in quell'estate del '66, che come me tremavano nascondendosi dietro le lenzuola, ma non rinunciavano a seguire le tenebrose imprese del sinistro "Belfagor, il fantasma del Louvre", il cui successo fu tale da costringere la Rai a trasferirlo per le ultime due puntate dal Secondo Programma (che ormai sembrava il canale deputato ai gialli) al Programma Nazionale, ma in realtà si trattava di una produzione francese. Tuttavia anche questa era un'ulteriore prova di quanta importanza il genere poliziesco avesse acquisito nei palinsesti della tv di stato. Ormai era ora di rispolverare anche il "vecchio" Durbridge, e per farlo fu scelto uno dei suoi più recenti copioni.
"Melissa" era andato in onda sulla BBC solo due anni prima con enorme successo, come del resto tutti gli sceneggiati firmati Durbridge in patria, ed era stato subito acquistato da diverse tv di varie nazioni europee (Francia e Germania tra le altre) che ne avevano messo in cantiere ognuna una propria versione, ed ai dirigenti Rai apparve subito come la scelta più idonea. Ed in effetti, lo script possedeva un po' tutti gli elementi tipici del miglior Durbridge.
Per la prima volta, non abbiamo bisogno di ricorrere alle schede del Radiocorriere TV, perché per fortuna, di "Melissa", così come di tutti gli altri sceneggiati di Durbridge degli anni a seguire sono rimasti i nastri, e grazie ai DVD, tutti possono oggi rivederseli quando e quanto vogliono. Non rinunceremo tuttavia al solito breve riassunto della trama: Guy Foster, ex-giornalista che ha lasciato la professione per coltivare le sue velleità di scrittore, non se la cava molto bene economicamente, e la questione è causa di frequenti dissapori con sua moglie Melissa; eppure Melissa, all'insaputa di suo marito, vive bene al di sopra dei mezzi modesti della coppia. Guy lo scopre nel peggiore dei modi, quando il cadavere strangolato di lei viene ritrovato nel Regent's Park di Londra. La donna si era recata in compagnia di due amici, Felix e Paula Hepburn, ad un ricevimento del campione automobilistico Don Page. Rimasto a casa da solo a scrivere, Guy aveva ricevuto una chiamata di Melissa che lo invitava ad unirsi alla festa dove avrebbe incontrato un importante editore. Poco entusiasta, Guy si era comunque recato all'indirizzo datogli dalla moglie, solo per scoprire che quell'indirizzo non esisteva e che Melissa era stata ritrovata uccisa nel parco. Da lì, l'uomo comincia a scoprire tante cose che non avrebbe immaginato: Melissa era in possesso di cospicue somme di denaro, gioielli ed altri valori, di cui lui non aveva mai sospettato l'esistenza, che a quanto pare vinceva al gioco. L'ispettore Cameron di Scotland Yard, che conduce le indagini, scopre dei pessimi rapporti che intercorrevano tra la coppia, e viene a sapere addirittura che Melissa, preoccupata della salute mentale del marito, l'avrebbe convinto a consultare uno psichiatra, il dottor Norman Swanson per i suoi scatti di rabbia. Guy nega assolutamente di aver mai consultato Swanson, ma resta di sasso, quando questi invece lo smentisce affermando di averlo ricevuto e visitato nel suo studio. La circostanza è confermata anche dall'infermiera dello psichiatra, Joyce Dean. Ormai la polizia lo sospetta, e Guy sembra incapace di sottrarsi alla rete di menzogne che lo circonda. Ma sono davvero menzogne? Perfino i suoi più cari amici cominciano a dubitare di lui. Una cappelliera che compare e scompare, un nome su una lettera di Melissa che solo lui sembra avere letto, ed un uomo che misteriosamente cambia volto, sono altri elementi di questo ingegnoso puzzle che sconcertò anche il pubblico italiano per sei settimane, spingendolo a chiedersi se Rossano Brazzi, gloria nazionale ma anche stella del cinema internazionale, che interpretava il protagonista Guy Foster, fosse solo un innocente, incastrato da una serie incredibile di circostanze avverse, o non fosse davvero un pazzo omicida dalla doppia personalità.
Diretto ancora da Daniele D'Anza, di ritorno dopo "Paura per Janet", "Melissa" fu visto da quasi dieci milioni di spettatori (9.900.000, per la precisione, quasi tre milioni più de "La sciarpa", e sei più di "Paura per Janet"!) con un gradimento confermato all'82%. Accanto a Brazzi, alla sua prima esperienza di attore alla Rai, c'erano Esmeralda Ruspoli, nobildonna di antica casata datasi alla professione di attrice, nel ruolo della defunta ma sempre presente Melissa, Aroldo Tieri, che ormai sembrava essere diventato una specie di portafortuna per i gialli di Durbridge, e Laura Adani, in quelli di Felix Hepburn e di sua moglie Paula, Massimo Serato come il pilota di Formula Uno Don Page, Franco Volpi, altro ritorno del giallo "durbridgiano", come il dottor Swanson, la giovane Luisella Boni come la bella e ambigua infermiera Joyce Dean, e Turi Ferro nei panni dell'imperturbabile ispettore Cameron.
In quella metà degli anni '60, l'Italia era in pieno boom economico. Gli apparecchi televisivi, e di conseguenza gli abbonamenti erano cresciuti esponenzialmente ed a quel punto erano davvero poche le famiglie che per seguire i programmi televisivi dovevano ancora trasferirsi in casa di parenti o amici. Con la sua esperienza ormai più che decennale, la Rai era uscita dall'infanzia e si apprestava a diventare una delle emittenti europee più ricche, per cui non si badava più a spese specialmente per le fiction (anche se allora si parlava ancora di teleromanzi, sceneggiati o originali televisivi), e "Melissa" sicuramente si giovò di questo. I giorni di trasferta sul suolo britannico per girarvi gli esterni, in particolare a Londra, aumentarono, e la sigla iniziale, una delle più ricordate di uno sceneggiato di Durbridge, fu girata interamente lungo le strade della capitale inglese, con la telecamera che inquadrava frontalmente un'auto della polizia che correva a sirene spiegate, mentre la musica di Fiorenzo Carpi con i suoi fiati dal ritmo jazzistico faceva da accompagnamento, e sulle immagini scorrevano i titoli d'apertura. Ma non meno ricordata è senz'altro anche la sigla di chiusura, "Regent's Park" sempre scritta da Carpi con D'Anza ed eseguita vocalmente da Connie Francis, popolarissima cantante italo-americana dell'epoca, che con le sue immagini misteriose e suggestive ed i suoi toni un po' malinconici, alludeva alla figura di Melissa che avvolta in una pelliccia (pelliccia che nella trama assumerà grande rilievo), si avviava verso il suo destino.
Lo sceneggiato andò in onda, ancora in sei puntate (ma sarebbe stata l'ultima volta) e sempre sul Secondo Programma, ma stavolta con una sola puntata a settimana, collocata il mercoledì, dal 23 novembre al 28 dicembre 1966, all'ora canonica delle 21,15. Evidentemente s'intendeva centellinare la suspence per gli spettatori che avrebbero dovuto attendere un'intera settimana di ansie e congetture per poter tornare a seguire un nuovo capitolo della vicenda, e poter alla fine avere una risposta alla nuova domanda che percorreva lo stivale: "Chi ha ucciso Melissa Foster?". Ed è ovvio che ormai la "caccia al colpevole" era divenuta uno sport nazionale: non solo giornali e riviste pubblicavano articoli, interviste agli interpreti (anche se la consegna al silenzio era rigidissima), ma addirittura un rotocalco bandì un vero e proprio concorso con tanto di ricchi premi per chi avesse indovinato il nome dell'assassino. Nome che, altrettanto ovviamente, era protetto con estrema cura dai pochissimi che lo conoscevano. Il regista D'Anza, addirittura questa volta, girò molte differenti versioni della stessa scena, e ad ogni nuova versione, appariva un diverso autore per il delitto.
Le molte versioni di questa scena andarono poi regolarmente in onda nell'ultima puntata del giallo (per la serie, come con il maiale non si butta via nulla), nella lunga sequenza in cui l'ispettore Cameron ipotizza come le cose possono essere andate secondo lui, acuendo la curiosità del pubblico in attesa di scoprire quale delle varie possibili ipotesi si sarebbe rivelata quella vera.
Questo espediente servì non solo a confondere le idee a giornalisti ed investigatori dilettanti, ma anche agli stessi attori che poterono sperare fino all'ultimo di essere ognuno di loro il colpevole.
Sì, perché essere "l'assassino" in un popolarissimo giallo a puntate era divenuta l'aspirazione di molti attori, soprattutto tra quelli ancora in cerca di una vera notorietà. Per almeno un mese sarebbero stati protagonisti di interviste da parte di giornali e riviste di tutta Italia e della stessa tv, riscuotendo una popolarità che avrebbe potuto significare nuove possibilità di scritture e prospettive inimmaginabili, per cui si può capire facilmente quanto quel ruolo fosse ambito.
L'ultima puntata del giallo, poi, fu un tale evento televisivo che il giorno dopo, il telegiornale del Programma Nazionale gli dedicò un intero servizio. Una cosa all'epoca più unica che rara.
Alla durata ed al prolungamento delle emozioni per lo spettatore italiano, contribuivano poi anche le traduzioni dell'esperta Franca Cancogni, sorella del giornalista e scrittore Manlio Cancogni, sceneggiatrice e scrittrice essa stessa, che riusciva, in collaborazione spesso con il regista di turno (o, come capiterà in futuro, con altri scrittori) ad ampliare i tempi della storia, aggiungendo scene o approfondimenti psicologici dei personaggi, che meglio si adattavano al gusto dello spettatore di casa nostra, o degli stessi attori che potevano esprimersi più compiutamente di quanto potessero fare i loro colleghi inglesi, con i più sintetici copioni di Durbridge. Infatti, mentre le versioni inglesi, che fossero divise come in un primo tempo in sei o successivamente in tre puntate, non superavano mai in pratica le tre ore totali di trasmissioni, quelle italiane, con puntate che potevano variare di durata in media dai 55 minuti all'ora e un quarto, potevano sfondare spesso il tetto delle sei o anche sette ore.
Un esempio pratico di questo posso testimoniarlo personalmente, avendo avuto la possibilità di vedere in DVD il remake a colori di "Melissa", prodotto in tre parti dalla BBC nel 1974. La trama è identica a quella dell'edizione italiana, ma i tempi sono molto più veloci (ogni puntata di un'ora ne contiene due delle nostre), e le interpretazioni più contenute, ed oserei quasi dire più "fredde", di quelle a cui siamo abituati noi. Non c'è traccia, ad esempio, della sofferenza che Rossano Brazzi riusciva a comunicarci per la scomparsa di sua moglie. All'attore che interpretava il ruolo di Guy Foster in questo remake inglese, un non meglio identificato Peter Backworth, avrebbero potuto aver ammazzato il gatto per il grado di emozione che riesce a manifestare. E inutilmente cerchereste tracce dell'umana simpatia del "nostro" ispettore Cameron, il grande Turi Ferro, nel rigido e segaligno funzionario di polizia, suo equivalente, che indaga sul delitto. Intendiamoci, i meccanismi di Durbridge funzionano sempre alla grande, ma le versioni Rai riuscivano ad infondere un'anima alle sue storie, che gli spettatori d'oltremanica non si sognano, e forse non sarebbero neanche in grado di apprezzare.
Tuttavia, anche e soprattutto in Inghilterra, "Melissa" resta comunque la serie più popolare scritta da Durbridge, visto che è l'unica ad aver goduto di ben tre versioni: quella originale del 1964, il già citato e fedele remake del 1974, ed un'ulteriore nuova edizione nel 1997 (mai vista a quanto mi consta fuori dall'Inghilterra, ma pare pesantemente rimaneggiata), un anno prima della morte di Durbridge.

(3 - continua)
elluas59
00giovedì 26 settembre 2013 20:56
Grazie e ancora tantissimi complimenti! [SM=g27811] [SM=x520497]
ba1ba2
00venerdì 27 settembre 2013 12:17
ecco un paio di rare immagini degli sceneggiati La sciarpa e Paura per Janet.






Lucawenz
00venerdì 27 settembre 2013 21:49

F





Foto di scena da "Melissa":

a.scaglioni
00giovedì 3 ottobre 2013 18:25

FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non esiste più

di A. Scaglioni

Quarta puntata

Pare che in quel finale d'anno 1966, mentre l'Italia televisiva tutta s'interrogava ancora su chi avesse ucciso Melissa Foster, un cronista particolarmente intraprendente avesse avuto la trovata geniale di telefonare ad un suo collega inglese (in Inghilterra "Melissa" nella sua versione originale era già andato in onda due anni prima) per farsi rivelare il nome dell'assassino.
Se l'espediente funzionò o meno non è dato sapere perché in realtà nessun giornale pubblicò anzitempo quel nome, e la notizia di questa fantomatica telefonata internazionale trapelò solo molto tempo dopo la fine dello sceneggiato. Quindi direi che è più che probabile che si tratti solo di una specie di leggenda metropolitana, diciamo così, di quelle che amano inventarsi le redazioni per insaporire un articolo, ma, leggenda o no, evidentemente la faccenda dovette allarmare abbastanza i dirigenti Rai e Daniele D'Anza che per il successivo giallo di Durbridge pensarono ad un sistema tutto nuovo per confondere le acque.
Ma procediamo con ordine. Dopo l'enorme successo popolare e mediatico di "Melissa", la Rai si sentiva ulteriormente incentivata, se ce ne fosse stato ancora bisogno, ad incrementare il numero di trasmissioni a sfondo poliziesco delle sue due reti. Tra l'inizio del '67 e il settembre del '69, quando il nuovo Durbridge esordì in pompa magna di domenica alle 21,05 sul Programma Nazionale (novità assoluta per il nostro autore!), ormai i gialli non si contavano più. Cito solo i titoli più importanti di quel periodo: oltre ai soliti Sheridan, tornato non solo con una nuova donna del suo poker in formazione, "La donna di quadri", in cinque puntate, ma anche con una nuova serie di cinque episodi autoconclusivi, quasi dei tv movies, riuniti sotto il titolo di "Squadra Omicidi, Tenente Sheridan", e Maigret con un terzo ciclo di storie (altri cinque sceneggiati per un totale di undici episodi), arrivarono ad unirsi alla schiera degli investigatori reinventati dalla nostra televisione, anche Nero Wolfe ed il suo assistente Archie Goodwin dai romanzi di Rex Stout, al secolo Tino Buazzelli e Paolo Ferrari (sei storie divise ognuna in due parti), ed il re di tutti gli investigatori, il grande Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle, interpretato alla perfezione da Nando Gazzolo, affiancato da un altrettanto perfetto Gianni Bonagura nella parte dell'inseparabile Watson (due classici, "La valle della paura" e "L'ultimo dei Baskervilles" in tre puntate ciascuno). Tra i prodotti un po' più sui generis, ma da non trascurare, ricorderei anche "Geminus", un singolare giallo quasi in chiave di commedia con un insolito Walter Chiari, e la prima serie de "I ragazzi di Padre Tobia", telefilm per ragazzi dal sapore solo vagamente poliziesco, ma degno di apparire in questa breve lista se non altro per la firma degli autori, quei Casacci e Ciambricco, già padri del tenente Sheridan.
Per quel che riguardava invece Durbridge, anche se niente di suo era più stato prodotto da quasi tre anni per la televisione, la pausa non era stata tanto lunga in realtà per quei suoi appassionati che fossero stati attenti fruitori anche della radio, visto che a cavallo della primavera-estate 1967 era andata in onda una nuova avventura di Paul Temple, "Margò" in dieci puntate, trasmesse nell'arco di due settimane dal lunedì al venerdì, alle 10 del mattino sulle frequenze del Secondo Programma radiofonico. Con la regia di Guglielmo Morandi (che era stato anche il regista del primo sceneggiato tv di Durbridge "La sciarpa"), e la traduzione e adattamento dell'immancabile Franca Cancogni, il radiodramma vedeva nella parte dello scrittore detective per la prima volta un interprete di fama, contrariamente alla volte precedenti in cui ci si era serviti di attori delle varie compagnie locali di prosa della Rai, e cioè Aroldo Tieri, per la quarta volta consecutiva impegnato in un giallo di Durbridge, un record che stava per ulteriormente incrementare, come vedremo. Insieme a lui, ad arricchire il cast per la maggior parte composto dalla Compagnia di Prosa di Firenze della Rai, furono chiamati Giuliana Lojodice, Corrado Gaipa e Cesare Polacco, l'indimenticabile ispettore Rock dei caroselli della brillantina Linetti (ricordate? "Anch'io ho commesso un errore..."). L'anno dopo, poi, ancora il Secondo Programma della radio, aveva trasmesso "La Boutique", radiodramma giallo che Durbridge aveva scritto su richiesta dell'European Broadcasting Union, il consorzio delle emittenti radiofoniche europee, per il mercato continentale ed il Commonwealth, e che andò in onda quasi in contemporanea in quindici paesi, tra i quali appunto il nostro. La versione italiana, diretta da Umberto Benedetto, e trasmessa nell'autunno del 1968 in cinque puntate il venerdi alle 20, vedeva tra i protagonisti Andrea Checchi, Arnoldo Foà e Ilaria Occhini, ancora coadiuvati dalla Compagnia di Prosa di Firenze. Eccezionalmente la traduzione non venne curata dalla Cancogni, ma da Amleto Micozzi, ma questo resterà un caso unico.
Come si vede, insomma, nonostante la pausa televisiva, la Rai non aveva certo dimenticato lo scrittore inglese, e finalmente nell'estate del 1969 giunse notizia di un nuovo giallo di Durbridge in lavorazione per la tv, il terzo consecutivo diretto da D'Anza che si stava specializzando nel genere (e che negli anni successivi avrebbe firmato altri grandi successi come "Coralba", "Il segno del Comando", "Ho incontrato un'ombra", "L'ultimo aereo per Venezia", tutti in chiave mystery ma non più all'ombra dello scrittore inglese). Ancora una volta si trattava di un'opera abbastanza recente (1966) il cui titolo piuttosto banale, "A Game of Murder", si trasformò in italiano nel più suggestivo "Giocando a golf, una mattina". Franca Cancogni fu di nuovo affiancata dal regista come era già accaduto con "Melissa" ed insieme i due tirarono fuori dallo script originale un'ottima sceneggiatura che, come la precedente, arricchiva senza tradirli il testo e i personaggi di Durbridge di sfumature dal sapore decisamente più nostrano. Inoltre, pur non rinunciando al solito sistema delle soluzioni alternative per proteggere anche sul set l'identità del colpevole (questa volta ne furono girate tre), D'Anza, come accennavo prima, escogitò un ulteriore trucchetto per confondere ancora di più le acque e scoraggiare chi avesse voluto eventualmente cercare di emulare la presunta impresa di quel cronista di cui sopra, che esistesse davvero o no. Tutti i nomi dei personaggi della storia vennero cambiati per renderli meno identificabili. Si mutarono anche alcuni rapporti di parentela (nell'originale, la prima vittima era il padre e non il fratello dell'investigatore) e così via, nell'intento di rendere la vita difficile il più possibile ad eventuali guastafeste. Quindi se vi è magari capitato di leggere il libro omonimo tratto dallo sceneggiato, e pubblicato anni dopo anche in Italia, ora sapete perché nessuno dei personaggi della storia avesse un nome corrispondente a quelli che ricordavate.
Tuttavia, come dicevo, la trama, pur allungata e rimpinguata di dialoghi e scene fino a riempire le sei puntate canoniche di circa un'ora l'una come richiesto dalla dirigenza Rai, rispettava pedissequamente l'intrigo ordito da Durbridge: trasferito a Londra da Birmingham, l'ispettore Jack Kirby, in attesa di prendere servizio a Scotland Yard pensa di godersi un paio di settimane di ferie presso il fratello Bob, ex-asso del golf e attualmente proprietario di un negozio di articoli sportivi, ma l'atmosfera che vi trova è tesa, e Bob sembra depresso e intenzionato a cedere l'attività. Jack fa appena a tempo ad incontrarlo sul campo da golf, che Bob resta vittima di un incredibile incidente di gioco. Colpito alla testa da una pallina, cade su un sasso restando ucciso sul colpo. Responsabile è un certo Tony Stewart, che appare prostrato dalla disgrazia. Jack non crede all'incidente e sospetta che suo fratello sia stato ucciso di proposito, ma nessuno gli dà ascolto, a partire dal suo diretto superiore, il sovrintendente Bromford, e dal suo collega ed amico, l'ispettore Ed Royce. Jack contro il loro parere persegue pervicacemente la pista del delitto e i suoi sospetti sembrano trovare conferma quando scopre il numero della targa dell'auto di Stewart annotato da Bob su una cartella nel suo ufficio. Contattato, Stewart nega di aver mai conosciuto Bob se non di vista, ma accetta di incontrare Jack, salvo poi non presentarsi, mandando la sua ragazza, Kay Richardson, al suo posto, per dargli un nuovo appuntamento. E stavolta Stewart c'è, ma morto con una pallottola nella testa. Ma a quanto pare prima di morire, Stewart ha inviato a Kirby una raccomandata, come scoprono Royce e Bromford, da una ricevuta rinvenuta a casa sua. Nel bel mezzo di questi tragici eventi, si dipana una vicenda che sembrerebbe minore ed assolutamente estranea. La signora Mason, governante del fratello, ha smarrito da giorni il suo cagnolino. A ritrovarlo insperatamente, abbandonato e senza collare, è una strana coppia di coniugi, David Scott, un anziano gentiluomo bloccato su una sedia a rotelle, e la sua giovane moglie Mabel, e a Jack che è passato a riprenderselo, Scott chiede di devolvere la ricompensa ad un comitato di beneficenza e girarlo in favore del segretario, un certo Basil Haigs. Immaginatevi la sorpresa di Jack quando nell'appartamento di Stewart la polizia scoprirà proprio l'assegno da lui firmato in favore del signor Haigs! Il giorno dopo, intanto, la raccomandata arriva, e contiene due oggetti, un collare da cani, e un biglietto con su scritto, "Per questo tuo fratello è stato ucciso."
Questa è praticamente la trama della prima puntata, e fermiamoci pure qui, dato che lo sceneggiato può essere facilmente recuperato in DVD e sarebbe un peccato rivelare troppi dettagli, rischiando di rovinare il divertimento a chi ancora non lo avesse visto, ma credo che basti a far capire che siamo in pieno Durbridge, con le sue consuete e intriganti coincidenze, che naturalmente non si riveleranno mai come tali, e i suoi colpi di scena spiazzanti, fatti ad arte per confondere lo spettatore. Che rapporto infatti possa esserci tra un collare per cani, un paraplegico a giorni alterni, le morti di Bob Kirby e Tony Stewart, e una misteriosa organizzazione, che dietro ad un giro di fotomodelle, nasconde prostituzione, spionaggio e ricatti, sarà il tema sviluppato nel corso delle sei puntate dello sceneggiato, in onda nuovamente a ritmo bisettimanale la domenica e il giovedì, riducendo così i tempi di trasmissione e il rischio di pericolose indiscrezioni.
Ormai la Rai sapeva di poter contare su un successo sicuro quando si trattava di gialli a puntate, soprattutto se firmati da Durbridge, e anche stavolta non restò delusa. L'accoglienza del pubblico fu a dir poco entusiastica; il passaggio, poi, dal Secondo Programma al Nazionale e la collocazione domenicale favorirono ancora di più "Giocando a golf, una mattina" che raccolse un bel 80 di gradimento e oltre 15 milioni di spettatori di media. Tra i protagonisti, Luigi Vannucchi era Jack Kirby, Aroldo Tieri, per la quinta ed ultima volta in un giallo di Durbridge, di cui negli anni '60 era stato praticamente il simbolo, nel ruolo dell'amico Ed Royce, e poi in ordine sparso, Luigi Montini (Tony Stewart), Gaetano Bartolucci (il sovrintendente Bromford), Andrea Checchi e Marina Berti (i coniugi Scott), Mario Carotenuto (Norman Brooks, l'ambiguo proprietario di un negozio di animali), Giuliana Lojodice (la sua amica e fotomodella Jessica) e Luisella Boni (Kay Richardson), di ritorno dopo "Melissa" in un ruolo da bella e misteriosa. A questo proposito, da una rivelazione fatta dal regista D'Anza al Radiocorriere, pare che per il ruolo di Kay Richardson fosse stata ingaggiata Alida Chelli, di lì a poco sposa di Walter Chiari, ma la Chelli, degna compagna evidentemente del suo prossimo marito, non si fece mai vedere sul set, e D'Anza apprese solo parecchi giorni dopo che si trovava in Australia dove aveva raggiunto Chiari. La parte venne quindi assegnata a Luisella Boni.
Come per "Melissa", i molti esterni di "Giocando a golf, una mattina" furono quasi interamente girati a Londra e anche stavolta le sigle, iniziale e finale, furono filmate tra le strade più popolari della capitale britannica, dalla City a Carnaby Street, nel tentativo, egregiamente riuscito secondo me, di metterne a confronto le due facce, tradizionale e moderna, con da una parte gli ingessati uomini d'affari in giacca e bombetta e gli impettiti soldati della Regina, e dall'altra i coloratissimi esponenti della gioventù londinese dell'epoca, ragazzi con lunghe basette e floride barbe e ragazze con vertiginose minigonne, mentre tra la folla si intravedevano i vari personaggi del giallo, sulle note delle musiche di Gigi Cicchellero (sua anche la canzone della sigla finale "Un impermeabile bianco" scritta con D'Anza e cantata da Paola Orlandi).
Ma anche nelle scene in interni, girate come di consueto negli studi Rai, D'Anza, con la puntuale collaborazione dello scenografo Sergio Palmieri e del costumista Ezio Altieri, si sforzò diligentemente di ricostruire l'atmosfera vivace della "Swinging London" di quegli anni, con l'allestimento di ambienti tipici come locali notturni, studi fotografici e modernissimi appartamenti arredati secondo la moda del momento, e capi d'abbigliamento, parrucche e acconciature, esibiti dalle protagoniste femminili, Luisella Boni, Giuliana Lojodice e Marina Berti, oltre che dalle molte altre bellissime modelle che abbondano nella storia.
Singolare poi la trovata di non inserire i titoli in sovraimpressione nella sigla iniziale, ma di farli recitare ad una voce narrante. Ma come vedremo, sperimentazioni insolite nelle sigle dei gialli di Durbridge saranno impiegate anche successivamente.

(4 - continua)
elluas59
00venerdì 4 ottobre 2013 10:18
E' dificile starti dietro per me che ho pochissimo tempo di stare su Internet.
Sei comunque davvero un grande esperto,appassonato del genere, e non potevi trovare forum migliore per la tua passione per gli sceneggiati. [SM=g27811] [SM=x520497]
elluas59
00venerdì 4 ottobre 2013 10:19
Mi fai rivivere quei tempi e quella televisione che non c'è più.
grazie a te mi ritornano molte cose in mente, quasi come fosse ieri e non così tanti anni fa. [SM=x520497]
a.scaglioni
00venerdì 4 ottobre 2013 15:32
elluas59, 04/10/2013 10:18:

E' dificile starti dietro per me che ho pochissimo tempo di stare su Internet.
Sei comunque davvero un grande esperto,appassonato del genere, e non potevi trovare forum migliore per la tua passione per gli sceneggiati. [SM=g27811] [SM=x520497]



Ti ringrazio molto, e sono davvero molto felice di avervi trovati. [SM=x520497] E se non hai tempo di leggere settimanalmente le puntate, leggile pure quando puoi. Non c'è nessuna fretta. [SM=g27811]

elluas59, 04/10/2013 10:19:

Mi fai rivivere quei tempi e quella televisione che non c'è più.
grazie a te mi ritornano molte cose in mente, quasi come fosse ieri e non così tanti anni fa. [SM=x520497]



Grazie mille. Mi fai davvero un bel complimento. In effetti, è anche questo il mio intento: rivivere e far rivivere almeno in parte l'atmosfera di quegli anni, nel racconto dei rapporti tra Francis Durbridge e la Rai. Una cavalcata, come l'ho chiamata, attraverso una televisione, ed un'Italia che non ci sono più. E che un po' lo confesso, rimpiango... [SM=x520489]

Grazie davvero per la vostra attenzione. [SM=x520508]
a.scaglioni
00venerdì 11 ottobre 2013 18:31
FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non esiste più

di A. Scaglioni

Quinta puntata

L'ancor più clamoroso successo di "Giocando a golf, una mattina", con i suoi 15 milioni e centomila spettatori di media, ma con punte di oltre venti milioni all'ultima puntata, aprì la strada a quello che fu il momento d'oro del rapporto tra Francis Durbridge e la Rai. Come una storia d'amore, iniziata dapprima timidamente, e irrobustitasi nel tempo grazie alle continue conferme di un reciproco trasporto, esplose con vigore negli anni a cavallo del decennio '60-'70. I fans del giallo televisivo non dovevano più aspettare un triennio per vedere un nuovo sceneggiato del loro autore preferito. I tre gialli successivi di Durbridge, infatti, andarono in onda a circa un anno di distanza l'uno dall'altro, e sempre più o meno a ridosso delle feste natalizie, subito prima o subito dopo, come un ulteriore ed atteso dono. Il giallo era ormai un genere molto frequentato sugli schermi di Mamma Rai, e nei dodici mesi che separavano "Giocando a golf, una mattina" dal nuovo sceneggiato, erano stati trasmessi tra gli altri: "La donna di cuori" con Sheridan, cinque puntate; "I giovedì della signora Giulia", ancora cinque puntate, tratto da un soggetto di Piero Chiara, ma soprattutto "Coralba" di Daniele D'Anza, anche questo in cinque puntate, una grossa co-produzione tra Italia e Germania, una delle prime della Rai che la vedeva associata alla RPA tedesca, e che fu un grandissimo successo, soprattutto qui da noi, grazie anche ad un Rossano Brazzi che ripeteva un po' il personaggio interpretato in "Melissa" (tanto che ci fu chi pensò erroneamente che si trattasse di un seguito di quello sceneggiato). Il soggetto di "Coralba" era firmato da Biagio Proietti, un nome che si sarebbe fatto presto largo tra gli autori televisivi degli anni '70, e di cui avremo modo di parlare tra poco.
Il nuovo giallo di Francis Durbridge s'intitolava invece "Un certo Harry Brent". In realtà, in Inghilterra la versione originale era andata in onda nel 1965 col titolo di "A Man Called Harry Brent", e quindi non si poteva parlare di un copione recentissimo. Di conseguenza ancora una volta al nuovo regista, Leonardo Cortese, autore delle ultime due "donne" di Sheridan, che subentrava al veterano D'Anza, si presentava il consueto rischio, incontrato dai suoi predecessori, delle indiscrezioni inopportune sul finale, e con ben cinque anni di storia alle spalle e chissà quante repliche, quel rischio era più presente che mai. Ma Cortese non era un novellino del genere, avendo al suo attivo già le ultime due "donne" di Sheridan, ed in predicato di concludere per l'anno seguente il poker con "La donna di picche". Per cui furono studiati tutta una serie di precauzioni per impedire, nei limiti del possibile, che voci incontrollate filtrassero dal set. Oltre alle solite, quelle classiche del tenere assolutamente secretate le ultime pagine del copione e girare più finali, e quelle più recentemente sperimentate con successo da D'Anza, il cambiamento dei nomi dei personaggi e il rimescolamento dei loro rapporti familiari e professionali, Cortese utilizzò un nuovissimo accorgimento squisitamente tecnico. Tutte le sequenze-chiave della storia furono girate, per così dire, a "pizzichi e bocconi": cioè, spesso a distanza di giorni se non di settimane, per confondere ulteriormente le idee agli stessi protagonisti, venivano girati dei primi piani in cui ogni attore diceva le sue battute, in totale isolamento dagli altri; poi i diversi spezzoni di pellicola venivano montati ad arte tra loro, fino ad assumere, ma solo al momento della trasmissione, un senso compiuto. Un lavoro certosino che il regista si assunse al termine delle riprese e che alla fine risultò più spossante della regia stessa. Quindi si capisce come dalle interviste ai vari attori, al di fuori delle scontate dichiarazioni di prammatica, risaltasse l'assoluta incapacità di questi di dare spiegazioni sensate su quello che avevano effettivamente realizzato, e men che meno, naturalmente, poter farsi scappare, anche involontariamente, il nome del colpevole.
La storia, inoltre, possedeva decise caratteristiche spionistiche, quasi alla 007, con agguati, inseguimenti e omicidi tra le strade di Londra che sembravano fatte apposta per confondere le acque già abbastanza melmose dell'intrigo: Sam Fielding, piccolo industriale di Sevenoaks, un paesino del Kent, viene apparentemente senza una ragione ucciso a colpi di pistola nel suo ufficio da Barbara Smith, una misteriosa ragazza giunta da Londra per un colloquio di lavoro. Subito dopo la donna fugge e si mette in comunicazione con qualcuno che le dà un appuntamento, ma viene inconsapevolmente salvata dall'intervento della polizia che l'arresta un attimo prima che le sparino. L'assassinio getta lo scompiglio nel tranquillo villaggio e sconvolge la vita della giovane Susan Bates, segretaria di Fielding e prossima alle nozze con il proprietario di un agenzia di viaggi di Londra, Harry Brent. Susan che aveva già dato il preavviso per licenziarsi, si trova di colpo a dovere da sola gestire la ditta lasciata dal defunto, oltre che il lutto per la morte del suo datore di lavoro a cui era sinceramente affezionata. Intanto l'assassina arrestata si rifiuta non solo di dire le ragioni del suo gesto, ma anche solo di aprire bocca. Di fronte all'ostinato mutismo della ragazza, l'ispettore Alan Milton, della polizia locale, ed ex-fidanzato di Susan, si trova costretto ad indagare alla cieca su un delitto apparentemente insensato. Niente infatti legava la vittima alla sua assassina. Invece, scopre Milton con sorpresa, dei legami sembrerebbero esserci proprio con Harry Brent, il promesso sposo di Susan, che per ovvie ragioni, Alan non vede con simpatia. Brent e la Smith, infatti, hanno viaggiato insieme nello stesso scompartimento sul treno da Londra e, particolare inquietante, Barbara aveva acquistato un mazzo di fiori che ha poi portato sulla tomba dei genitori di Brent al cimitero di Sevenoaks, prima dell'omicidio. I due allora si conoscevano? La cosa sembrerebbe confermata dal fatto che nella borsa della donna viene rinvenuto un biglietto per uno spettacolo teatrale a Richmond, un sobborgo di Londra, per il posto accanto a quello riservato allo stesso Brent. Questa sequela di indizi compromettenti non trova però spiegazioni nè da parte di Brent che nega ogni coinvolgimento, né tanto meno da parte di Barbara Smith, perché qualcuno la fa tacere per sempre avvelenandola nella cella del posto di polizia dove è rinchiusa. Prima di morire però la donna sussurra il nome di Harry Brent. Ma questo intricato inizio non è che la punta dell'iceberg di un plot in cui si confronteranno servizi segreti, agenti sotto copertura, sicari senza scupoli e un misterioso Signor X, a capo di una sezione inglese di una pericolosa organizzazione internazionale di spionaggio. Naturalmente i cadaveri abbonderanno.
"Un certo Harry Brent", fu il primo giallo di Durbridge ad essere girato per gli interni nei nuovi studi di Napoli (che come vedremo assumeranno sempre più rilievo negli anni a seguire), mentre per gli esterni, tutta la troupe si trasferì come era ormai abitudine sui luoghi reali della storia, e cioè nel villaggio di Sevenoaks, a Londra ed a Richmond.
L'esordio avvenne ancora di domenica ed ancora sul Nazionale, e nuovamente con la formula bisettimanale, andando in onda per sei puntate ogni domenica e martedì alle 21,05 dal 1 novembre 1970, e concludendosi, dopo tre settimane intensissime, il martedì 17 dello stesso mese. Ormai il successo dei gialli di Durbridge sembrava inarrestabile: il gradimento sfondò il muro già altissimo del 82%, toccando quota 83, mentre la media di ascolto si attestò a quasi diciannove milioni di spettatori. Contrariamente a ciò che era accaduto sotto la gestione di Daniele D'Anza, questa volta non fu il regista stesso ad adattare la traduzione della solita puntualissima Franca Cancogni, ma un giovane sceneggiatore con già all'attivo un giallo tv di grande successo, "Coralba", Biagio Proietti, che venne incaricato di intervenire sul copione di Durbridge per trasformare i sei episodi originali di mezz'ora in altrettanti episodi di durata doppia, allungando le scene, moltiplicando i dialoghi, approfondendo le psicologie dei personaggi.
Sfortunatamente, "Un certo Harry Brent" è l'unica versione italiana di uno sceneggiato televisivo di Durbridge che non sono in grado di confrontare con l'originale, non essendo mai uscito nel nostro paese il romanzo omonimo, ed essendomi anche stato fino ad oggi impossibile rintracciarne una copia in inglese o in francese (l'unica edizione disponibile è in tedesco, lingua che mi è, ahimè, sconosciuta!). Quindi non so fino a che punto, Proietti abbia "manipolato", diciamo così, il copione di Durbridge, ma se dovessi sbilanciarmi in un'ipotesi, direi che sia intervenuto sicuramente sulla figura di Alan Milton, interpretato dal bravissimo Roberto Herlitzka. Questo funzionario di polizia, così ostentatamentemente grigio e banale, un tipo che non ti volteresti mai a guardare una seconda volta tanto sembra confondersi con l'ambiente circostante, che guida una macchinuccia quasi fantozziana, il cui aspetto fa a pugni con quello del suo facoltoso ed affascinante rivale in amore, Harry Brent (non a caso interpretato da quell'Alberto Lupo, indimenticato dottor Manson de "La cittadella", che da anni faceva strage di cuori tra le telespettatrici italiane di ogni età), ricorda troppo da vicino alcuni personaggi che Proietti, in coppia con la moglie Diana Crispo, creerà successivamente per i suoi gialli realistici e minimalisti (tipo "Dov'è Anna?), per trattarsi di una pura coincidenza.
Insieme ai già citati Roberto Herlitzka e Alberto Lupo (alla sua prima, ma non ultima, esperienza con Durbridge), vanno ricordati tra gli altri: Enzo Garinei (il sergente Roy Philips) e Stefanella Giovannini (Barbara Smith), rispettivamente fratello e figlia della premiata coppia del musical italiano, Pietro Garinei e Sandro Giovannini; e poi Claudia Giannotti (Susan Bates), Carlo Hintermann (suo fratello Albert), Valeria Fabrizi (la cantante Sarah Miles, che come tale interpreta anche la canzone della sigla finale, la non indimenticabile "Un amico", scritta da lei stessa insieme a Cortese e Rein); Ferruccio De Ceresa e Marzia Ubaldi (i due ambigui coniugi Stone); Carlo Bagno (Sam Fielding) e Walter Maestosi (Bryan Finlay, uno degli spietati killer dell'organizzazione).
Nell'ottica perfetta del gioco poliziesco, Cortese nei titoli di testa trascurò totalmente i nomi degli interpreti e presentò in video gli attori uno dopo l'altro, nell'ordine di apparizione puntata per puntata, semplicemente con i nomi dei rispettivi personaggi, completando la lista ogni volta con l'inquietante ombra sul muro del misterioso capo dell'organizzazione e colpevole principale del giallo, siglato con la dicitura de "Il signor X". Il tutto sulle note di "Roots of Oak", splendida canzone eseguita dal cantante scozzese Donovan. Purtroppo la suggestione di questa sigla, ogni volta differente perché ogni volta era diverso l'ordine di apparizione dei personaggi e perchè ad ogni puntata ne spuntavano di nuovi, si è un po' persa a causa evidentemente del deperimento del nastro originale, che ha costretto i curatori di Rai Teche a sfruttare la sigla della prima puntata anche per due puntate successive (la terza e l'ultima) sciupandone così in parte l'effetto. "Un certo Harry Brent" è andato in onda in questa edizione rimaneggiata diverse volte in questi ultimi anni ed è quella che si trova anche nei DVD. Fortunatamente si sono invece salvati gli splendidi riassunti "disegnati", ad opera di Dino Di Santo, che precedono ogni episodio, ancora un caso di originale sperimentazione in un giallo di Durbridge.
Normalmente in questa mia disamina dei vari sceneggiati di Durbridge, cerco di evitare di raccontare i finali, anche se ormai dovrebbero essere conosciutissimi e stravisti da tutti, ma è una specie di accordo che intercorre tacitamente fra tutti gli appassionati di gialli. In questo caso però dovrò fare almeno parzialmente un'eccezione e prego quindi chi non volesse avere spoilers di saltare questo ultimo paragrafo. Non si può infatti parlare di questo giallo di Durbridge senza citare il tragico e anomalo finale che vide la morte del protagonista della storia, l'amatissimo Alberto Lupo, ucciso inaspettatamente dal bieco capo dell'organizzazione proprio nelle ultime fasi della storia. In questo particolare caso, contrariamente a quanto ho scritto precedentemente, essere stato il colpevole in un giallo a puntate non poté considerarsi una fortuna. In quanto, a quel che si disse, lo sventurato attore che aveva interpretato la parte dell'assassino divenne odiatissimo dai fans di Lupo, tanto da dover cambiare il numero di telefono (ogni giorno riceveva telefonate di insulti da qualcuno che evidentemente era riuscito a conoscere il suo indirizzo telefonico). Ma chissà, forse anche questa non fu altro che un'invenzione di qualche giornalista particolarmente fantasioso.

(5 - continua)
elluas59
00sabato 12 ottobre 2013 01:10
Devo cnfessare che non ce la faccio più a leggere i tuoi articoli, perchè mi viene da pensare alla televisione di oggi......così brutta, inutile, trash, etc. e siccome non esiste la macchina del tempo, fa male pensare al passato, a quando la tv era curata fin nei minimi dettagli.
Ovviamente tu non hai colpe, è la mia reazione nel pensare a questo brutto presente. [SM=x520497]
a.scaglioni
00sabato 12 ottobre 2013 11:49
Beh, sì, ti capisco. Un po' è anche la mia reazione mentre faccio le ricerche o rileggo vecchi appunti per poter scrivere con cognizione di causa (non sono ovviamente in grado di ricordare tutto con la sola memoria, visto che all'epoca ero ancora poco più che un bambino). Quando mi vado a consultare vecchi numeri del mitico ed irripetibile Radiocorriere, ad esempio, mi viene un'insopprimibile nostalgia, pensando che ormai è defunto da quasi un ventennio e l'unica pubblicazione di un certo livello, di mia conoscenza, oggi ancora esistente è Sorrisi e Canzoni, purtroppo arresasi anch'essa al gossip, ad informazioni triviali, e soffocata da decine e decine di palinsesti dei vari canali satellitari e terrestri.
Tuttavia reimmergermi in quel tempo, anche se mi dà un po' di tristezza, mi regala anche qualche momento di serenità nell'associare i miei ricordi personali a certi eventi televisivi, e mi ridà anche la voglia di tornare a guardare quei vecchi programmi, dimenticando almeno per un'ora le angosce del presente. Credimi, anche questo serve.
Lucawenz
00sabato 12 ottobre 2013 12:44
Re:
elluas59, 12/10/2013 01:10:

Devo cnfessare che non ce la faccio più a leggere i tuoi articoli, perchè mi viene da pensare alla televisione di oggi......così brutta, inutile, trash, etc. e siccome non esiste la macchina del tempo, fa male pensare al passato, a quando la tv era curata fin nei minimi dettagli.
Ovviamente tu non hai colpe, è la mia reazione nel pensare a questo brutto presente. [SM=x520497]


Per me è vero l'opposto: è come respirare boccate di aria pura stando immersi in un gas tossico... [SM=g27811]


veu
00sabato 12 ottobre 2013 14:20
Veramente bella l'analisi di A.Scaglioni su Francis Durbridge. Sì in effetti la tv è cambiata moltissimo, ma proprio anche la formula degli sceneggiati e telefilm è cambiata: una volta c'erano più dialoghi, era proprio differente.
Lucawenz
00sabato 12 ottobre 2013 22:41
Aggiungo un'informazione alla peraltro ottima ed esaustiva disamina di A. Scaglioni: la realizzazione di "Un certo Harry Brent" costò alla Rai circa un miliardo di lire; non sono in grado di scendere in ulteriori dettagli, so solo che il 22 novembre 1970 uscì sul quotidiano 'Gazzetta del Popolo' un articolo intitolato "Costa un miliardo (a scatola chiusa) fare un giallo come Harry Brent".
[SM=g27817]
elluas59
00domenica 13 ottobre 2013 01:22
L'ultimo mio post è stato un pò uno sfogo da parte mia, contro la tv di oggi,semmplicemente inguardabile.
In realtà anch'io amo guardare i programmi del passato e resto stupefatto dalla loro bellezza, dall'attenzione a tutti i minimi particolari, all'amore, alla passione, alla competenza, alla professionalità, con la quale venivano realizzati.
Poi, è cambiato il mondo, non poteva non cambiare il modo di fare tv.
Sarà forse che mi sono immerso molto nel passato, in questi ultimi 10 anni che mi ha fatto reagire così, con il mio post precedente.
Penso a quel sito da cui molti di noi provengono e dove ci siamo virtualmente conosciuti, www.pagine70.com, che non esiste più.
E' stata come una full immersion nel passato.
Ora sento il bisogno di uno stop col passato e di concentrarmi sul presente e sul futuro.
elluas59
00domenica 13 ottobre 2013 01:23
E' incredibile, ma ricordo anch'io una polemica per il costo di quello sceneggiato.
Non so come sia possibile, visti i tanti anni passati, ma la ricordo.
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