00 15/12/2006 18:09
Re: La fondazione
Ecco la trasposizione della fondazione di Milano in un racconto...tratto da Celtipedia, articolo di Dominix, www.celtiworld.it

Medhelan
Il cielo era ormai buio, percorso da nubi nere che già andavano a occultare la luna piena, quando i quattro cavalieri giunsero nella radura circondata da paludi e acquitrini.
Erano tre giovani guerrieri galli, accompagnati da un vecchio druido.
Belloveso, il loro capo, scese da cavallo e si guardò intorno con aria smarrita. Il druido lo raggiunse, appoggiandogli una mano sulla spalla.
— Sei preoccupato, Belloveso? Gli àuguri erano molto chiari...
— Gli àuguri! Gli àuguri! — sbottò il giovane dai capelli ramati. — Sono stanco, Dolin! Da quanto tempo siamo in viaggio, mio vecchio amico? Quanti nemici abbiamo dovuto combattere? Quanti ostacoli superare?
— È proprio questo il punto — rispose il druido. Nel buio, i suoi occhi fiammeggiavano. — Abbiamo attraversato le Alpi per giungere sin qui, sfidando valanghe di neve, burroni e crepacci. Abbiamo fronteggiato terribili belve di montagna ed eserciti che ci soverchiavano di numero. Abbiamo sconfitto i Salvi, e oltre la Dora i Tusci e i Taurini. Sul Ticino abbiamo respinto addirittura gli Etruschi, ed eccoci nella fertile terra di cui parlava tuo zio, il glorioso re dei Biturigi, Ambigato.
Ricordi le parole che ci rivolse quando ti congedasti da lui?
Belloveso ricordava! Ricordava l’espressione orgogliosa di suo zio, mentre abbracciava suo fratello Segoveso, cui gli Dei avevano destinato la Selva Ercinia, e lui, cui era toccata in sorte la grande pianura abitata dagli Insubri.
Ricordava quell’espressione, velata da un’ombra di tristezza, perché lui non avrebbe potuto seguirli.
Dolin gli porse una bisaccia di cuoio. — La scorsa notte ho fatto un sogno, Belloveso. Eravamo accampati sulle rive del fiume Eridano, e all’improvviso una donna bellissima e dalla carnagione bianca come la luna è apparsa ai miei occhi. Era la dea Belisama, Signora delle acque. Mi sono inginocchiato ai suoi piedi e le ho chiesto quando, quando avremmo potuto fermarci e costruire la nostra nuova città? A quel punto è successa una cosa stranissima: Belisama mi ha sorriso e si è trasformata in un animale mai visto, una scrofa bianca dal dorso lanuto!
— Devi aver bevuto un pò troppo ieri sera, druido! — esclamò Belloveso con una sonora risata. Dolin assunse un’espressione feroce e schiaffeggiò il giovane condottiero, che arrossì per la rabbia e la vergogna, ma non batté ciglio.
— Giovane stupido! — sibilò il druido. — È la scrofa dal dorso lanuto che devi cercare! Quando l’avrai trovata, in quel punto costruiremo il nostro medhelan!
— Una scrofa dal dorso lanuto? Ma non esiste una simile bestia! — obbiettò Belloveso.
— La troverai. È già stato deciso, e non da me, né da te! Ora vai. Questa è la prima notte di luna piena di Beltane, le stelle ci sono propizie. E quando sentirai il coraggio venir meno, nella bisaccia troverai una fiaschetta di Vedehirin, un distillato di vischio e agrifoglio molto potente. Pochi druidi sanno prepararlo come si deve, e pochi guerrieri sono capaci di berlo senza impazzire. Tu sei uno di questi...
Belloveso restò a guardarlo a bocca aperta, ma ormai Dolin si era girato e stava raggiungendo gli altri guerrieri.
Senza una parola, raggiunse il suo cavallo e montò in groppa, lanciandolo al galoppo con un urlo terribile e sparendo nelle tenebre della foresta, mentre un lampo accecante, accompagnato dal fragore del tuono, dava inizio alla tempesta...

*

Da diverse ore Belloveso cavalcava tra alberi imponenti, scossi dal vento come giganti tormentati, e acquitrini neri come pozze infernali. Era fradicio di pioggia e faceva fatica a governare il cavallo, spaventato da quel nubifragio che non accennava a placarsi.
Con i lunghi capelli appiccicati al volto, Belloveso si faceva spazio tra la vegetazione menando fendenti con la lunga spada. Tuttavia la furia degli elementi era troppo grande, persino per un condottiero come lui, che era stato capace di valicare le Alpi con un seguito di 130.000 persone.
A un certo punto, costretto ad attraversare una palude, gli zoccoli del cavallo poggiarono su una zolla particolarmente soffice. Il povero animale venne preso dal panico e disarcionò Belloveso, che si ritrovò ad annaspare nelle acque limacciose, mentre il cavallo annegava tra nitriti strazianti.
Per non fare la stessa fine, il coraggioso biturigio si liberò dell’armatura e dei vestiti, rimanendo nudo, con la sola bisaccia datagli da Dolin, a lottare contro i flutti.
Si ritrovò sull’altra sponda senza neanche rendersi conto di come ci fosse arrivato. Era salvo, ma a quel punto, nudo come un verme, coi denti che battevano per il freddo che sentiva nelle ossa, il giovane fu invaso dalla disperazione più nera.
Si tolse la bisaccia di cuoio che portava a tracolla ed estrasse la fiaschetta dell’intruglio che gli aveva donato il vecchio druido. Era giunto il momento di berne? E come faceva Dolin a sapere che non l’avrebbe fatto impazzire? Il Vedehirin, su stessa ammissione del druido, era una bevanda magica molto pericolosa. Si diceva che fosse capace di far distaccare lo spirito dal corpo, e di aprire squarci sul futuro.
Ma cosa aveva da perdere? Ormai si sentiva prossimo alla fine, e niente poteva essere peggiore della condizione in cui si trovava.
Portò la fiaschetta alle labbra e ne bevve una abbondante sorsata.
Gli sembrò che le viscere prendessero fuoco, poi un intenso calore scacciò il gelo che gli tormentava le ossa, e si sentì subito meglio.
All’improvviso, però, la realtà perse consistenza. La tempesta era sparita con la notte, ora c’era un sole grande e giallo a illuminare una radura in cui centinaia di uomini del suo seguito si affaccendavano a scavare enormi buche, a tagliare alberi altissimi, a discutere, eccitati, di come sarebbe stato il loro sacro medhelan.
Poi di nuovo, la scena cambiò, e lui dovette assistere con orrore al massacro della sua gente, perpetrato da un esercito mai visto, che ostentava insegne d’oro raffiguranti un’aquila dalle ali spiegate.
Vide ancora una splendida città, i cui elementi decorativi, tipicamente celtici, si fondevano con stili sconosciuti.
Ormai le scene a cui assisteva si succedevano rapidamente: di nuovo vide la città rasa al suolo e ricostruita, ancor più splendida di prima, ma la morte continuava a prendere il sopravvento sulla vita ed ecco un’immagine paurosa, migliaia di cadaveri lividi giacevano per le strade o su carretti che li portavano via a dozzine; eserciti sconosciuti che marciavano per le strade di una città sempre diversa, ma contemporaneamente sempre la stessa; un grande generale che parlava una strana lingua, ma dall’accento familiare, eppure anche lui nemico di quella città.
A un certo punto, Belloveso temette di essere impazzito davvero quando vide terrificanti, enormi uccelli d’acciaio volare sul cielo di quella città, che appariva ancora una volta diversa, e deporre le loro orribili uova sugli edifici, al cui contatto esplodevano, seminando distruzione e devastazione.
Il giovane condottiero era atterrito, ormai quelle visioni si erano fatte insostenibili. Si coprì gli occhi con le mani, ma all’improvviso, una dolce voce di donna richiamò la sua attenzione.
— Non nasconderti. Guarda!
Belloveso riaprì gli occhi e vide qualcosa di così meraviglioso, che la sola visione di pochi attimi bastò a riempirlo di gioia per il resto della sua vita. Davanti a lui si ergeva un immenso santuario, un Nemeton imponente, di prezioso marmo bianco e dalle guglie altissime e appuntite, quasi a voler perforare l’azzurro del cielo.
Sulla guglia più alta di tutte, vide la fonte della voce che aveva sentito prima: una donna bellissima, che irradiava luce su tutta la zona circostante. La dea Belisama?
In quel momento, Belloveso tornò alla realtà. Era ancora nella foresta, di notte, nudo e infreddolito, ma a pochi passi da lui una femmina di cinghiale, bianca e col dorso ricoperto da una fitta lanugine stava pascolando.
Gli occhi di Belloveso si riempirono di lacrime.
— Medhelan... — sussurrò, mentre singhiozzava, immergendo il viso nella terra umida e grassa. — Medhelan...



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