00 13/02/2007 11:48
I miei complimenti a Tidus per il lavoro svolto (lavoro piacevolissimo, per la verità!). [SM=x520497]

Qualche imprevisto ha un po' distratto la mia attenzione dalle nostre cose, ultimamente, ma non certo al punto di evitare un bel confronto su questo capolavoro che è Ritratto di donna velata.

Ci sono alcune cose che rileverò, nella lettura tidusina, e che sto mettendo a fuoco, anche in considerazione del fatto che, a quanto leggo, non tutti avete presente o ricordate l'opera in questione.

Quando la rividi (alcuni anni orsono) ebbi pochi dubbi: la mia memoria riandò subito al sinistro scricchiolio della sedia a dondolo, la fronte imperlata del ragazzo, le espressioni d'incredulità -mista a legittimo stupore- del protagonista. La vicenda mi aveva già adeguatamente terrorizzato [SM=x520486] negli anni della mia infanzia, al tempo stesso trascinandomi sempre più verso il fascino del gotico, del romanzo ottocentesco tutto intriso del conflitto tra una razionalità positivistica che non sorprendeva più nessuno, ed una sensibilità verso il non visibile, il non immediatamente percepibile, che conquistava sempre più ampie fasce di lettori.
La stagione televisiva di cui è espressione Ritratto di donna velata è protagonista -io credo- di una rielaborazione piuttosto originale di questi temi della letteratura colta e popolare, che già avevano suggestionato generazioni di appassionati.
La maestria degli autori è chiara nell'audacia con cui riescono, per così dire, a rendere attuali, contemporanee queste atmosfere, rendendo la storia una vicenda possibile che chiunque, con un po' di (s)fortuna (a ciascuno la sua valutazione [SM=x520491] ), potrebbe vivere realmente.

Queste righe sono servite solo per entrare -come dire?- in atmosfera, stimolato dal bravo Tidus, ma sto per entrare nel merito della vicenda...

Fate altrettanto!

RobertoC


________________________________________________________________

Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.