Innanzitutto il Festival del 1980 chiude definitivamente gli anni Settanta. Infatti, visto che l’anno 0 non esiste, è quello del 1980 l’ultimo festival del decennio in questione.
Riesce quasi difficile da credere, ma Toto Cutugno si aggiudica un’edizione del festival di Sanremo. E “Solo noi” è anche forse meno peggio di tante altre. Il Toto nazionale raccoglie quello che ha seminato negli anni precedenti ed è reduce dai successi legati a sigle televisive molto popolari in quegli anni. Brani quali “Donna donna mia”, “Voglio l’anima” e soprattutto “Soli”, cantata da Celentano gli spalancano la porta al successo internazionale, successo peraltro già assaporato a livello mondiale nel 1975 con “Africa”, quando Cutugno era cantante solista degli Albatros. Ma questa è un’altra storia.
Melodico quanto basta e discreto il brano di Enzo Malepasso, che qualche anno dopo farà più fortuna come autore e produttore di Fiordaliso che come cantante a Sanremo.
“Ti voglio bene e non mi spavento se questo è amore al centodue per cento” recitava il ritornello della canzone, buona quanto basta per i passaggi radiofonici, ma Malepasso non saprà più ripetersi.
Pupo – Su di noi. Ricordo ancora il divertente intervento di Anna Marchesini al festival di qualche anno fa che ironizzava molto su questa canzone, davvero uno spasso. E’ forse uno dei brani più conosciuti del Ghinazzi, ma a me sembra che si assomiglino un poco tutti quanti.
Morandi porta a Sanremo la canzone d’autore (“Mariù” è di Francesco De Gregori), ma il successo non gli arride come sperava. E’ comunque un buon banco di prova per una svolta di carriera che porterà il bravo cantante di Monghidoro ad un repertorio più maturo e per nulla banale nel corso di tutti gli anni Ottanta.
La Bottega dell’Arte aveva cominciato bene ma termina davvero male. “Più di una canzone”, volendo ironizzare sul titolo, è davvero una banalità melensa, cotta a dovere per un festival che ormai di cose cotte non ne può davvero più. Peccato per la loro carriera, che prometteva bene ma che è naufragata malamente dopo qualche successo di classifica.
“I sing for you” nonostante il titolo e l’interprete è cantata in italiano (si fa per dire) dalla sorella di Mike Oldfield. E’ un brano che si fa dimenticare subito, privo di carattere, se così si può dire; anche in questo caso dispiace perché la voce della Oldfield non è affatto disprezzabile.
Chissà quanto sanno (o ricordano) che prima di Toto Cutugno anche Stefano Rosso aveva portato a Sanremo una canzone dedicata a difetti e virtù dell’italiano medio. Quella di Rosso è una canzone accattivante, decisamente diversa da quella del NazionalToto; purtroppo Rosso ha un difetto nella pronuncia della “R” e non ha certo un buon look per sfondare negli anni che seguiranno, dove l’immagine cederà il posto alla voce ed ai contenuti. Sembra davvero un festival di occasioni mancate!
Ah ecco! Leroy Gomez. Ovviamente tutti sanno che è l’ex cantante dei Santa Esmeralda. Già, i sospiri profondi ed i mugolii di “Don’t let me be misunderstood” sono proprio i suoi. Ma sul palco dell’Ariston si canta davvero ed il suo italiano stenta a decollare.
“Cavallo bianco” all’epoca mi piaceva molto. Ho trovato recentemente il disco di Paolo Riviera ma ne sono rimasto un poco deluso. Comunque è molto meglio di tante altre.
“Gelosia, mi acceca mi uccide…”. E come fare a resistere al fascino di Bobby Solo, riciclatosi perfettamente ed ambientatosi benissimo negli anni Ottanta? Scorrendo l’elenco dei titoli, credo che questa sia una tra le canzoni del festival 1980 che sono rimaste più famose e ricordate nel tempo.
“Contessa” meriterebbe un ampio discorso a parte. Il platinato Enrico Ruggeri ed il suo gruppo scuote e riscuote successo e consensi. Non male per un’edizione in sordina come quella del 1980. Sui giornali dell’epoca apparve un articolo nel quale si dichiarava che la “Contessa” era Renato Zero… qualcuno ricorda qualche particolare di questa vicenda?
Qualche reduce dallo scioglimento di gruppi si presenta a Sanremo per cercare miglior fortuna.
E’ il caso di Aldo Donati e Alberto Cheli (dalla Schola Cantorum) e di Linda Lee (dai Daniel Sentacruz Ensemble).
La biondissima Rossana Barbieri, in arte Linda Lee, canta in italiano un’anonima canzone dal titolo “Va’ pensiero” che passa del tutto inosservata, dopo che aveva attirato qualche attenzione con brani quali “Love was the magic” e soprattutto “Annie Bell”, brano incluso nel film “La fine dell’innocenza”.
Aldo Donati era la voce “ruvida” della Schola Cantorum (forse anche troppo ruvida). “Canterò, canterò, canterò” è un brano che si può facilmente dimenticare mentre invece spenderei qualche lode in più per l’intensa “Passerà” di Alberto Cheli, grande interprete (suo è l’assolo finale nella celebre “Le tre campane” della Schola Cantorum); Cheli è reduce da tiepidi consensi per un brano dal titolo “Cavalli alati”, che però a mio avviso ricorda troppo “Dedicato” di Fossati.
Con questo Festival e con il brano “Musica regina” termina anche la carriera di Leano Morelli. Morelli è stato uno tra gli autori Settanta più programmato dalle radio libere. Brani quali “Cantare, gridare…. sentirsi tutti uguali” (Festivalbar 1978), “Un amore diverso” (Disco Neve 1976), “Nata libera” e “Io ti porterei” (Sanremo 1977 e 1976, ne riparleremo) sono rimasti impressi e vengono riproposto abbastanza spesso anche ora in certe radio. “Musica regina” non era meglio di molte altre, ma decisamente e nettamente inferiore ai brani che ho appena citato.
Giorgio Zito dovrebbe essere uno dei fratelli Bennato (né Edoardo né Eugenio): solo recentemente sono venuto in possesso del brano “Ma vai vai” e trovo che non sia affatto adatto alla platea sanremese.
Tremenda “Voglio l’erba voglio” di Francesco Magni, come pure inadatta “Tu cioè”, che determina l’ultimo posto in classifica di Peppino Di Capri.
“Mara” è un brano con delle rime scontate e prevedibili, ma il ritmo piuttosto orecchiabile faceva intendere un successo maggiore, invece si è persa nel dimenticatoio.
Per la maggior parte delle canzoni eliminate devo fare uno sforzo davvero, perché tante non mi dicono proprio nulla, ma forse non avevano nulla da dire nemmeno allora, chissà….
Ricordo “Non ti drogare” del mio conterraneo Alberto Beltrami (Gesù, Giuseppe eccetera…); sono riuscito a trovare i singoli di “Amor mio sono me”, “Angelo di seta”, “Dammi le mani”, “Ti desidero”, “Tu che fai la moglie” e “Tu sei la mia musica”, ma eccezion fatta per il brano di Coscarella e Polimeno (che credevo fossero una coppia ed invece sono due uomini) che trovo ascoltabile, il resto l’ho già dimenticato anche se li ho sentiti da poco.
Ricordo i Latte e Miele per altri brani ma non per “Ritagli di luce” mentre è buio totale su “E pensare che una volta” di Gianfranco De Angelis e soprattutto su Henry Freis
(ma chi è?) e “Dal metrò a New York”.
Se la Fabbrica Italiana Automobili Torino si chiama FIAT,
perché la Federazione Italiana Consorzi Agrari si chiama Federconsorzi?