Provo io, allora, ad aggiungere qualcosa (ho le ultime due puntate, di tre).
La Dama dei veleni rappresenta, a mio avviso, una sorta di canto del cigno della grande stagione degli sceneggiati televisivi.
Siamo nel 1979: Dallas e le telenovelas (prodotti scarsissimi a basso costo) sono alle porte, pronti a raschiare il barile di un facile pubblico di casalinghe, che non aspetta altro dal potersi perdere in storie puerili ma infinite, grazie ai potenti
mezzi della TV commerciale.
In questo mare di nulla, che avrà anche l’effetto di narcotizzare la nostra creatività, la forza delle nostre sceneggiature, l’espressività dei nostri attori, la TV di Stato ci regala questa piccola perla decisamente noir, che evoca in noi (non eguagliandola) la fresca memoria di quei capolavori assoluti di genere che restano
Il Segno del Comando e
Ritratto di donna velata.
La storia è quella sceneggiata di
Terrore al castello, di John Dickson Carr, ed è puntualmente commentata dalle musiche di Bruno Nicolai, che, con un ritmo incalzante, tale da togliere il respiro, ci accompagna in una vicenda ricca di colpi di scena in un crescendo di emozioni.
Gli attori sono interpreti di assoluto valore, quali Ugo Pagliai e Corrado Gaipa, pericolosamente mescolati ad altri, decisamente in affanno o addirittura avvilenti, come Susanna Martinkova (la tenebrosa reincarnata Marie d’Aubray).
La storia si svolge in Italia, nel romantico scenario del castelli romani, ai giorni nostri.
L’editore
Dario Gherardi (Ugo Pagliai) ha sposato la bella e misteriosa
Marie d’Aubray (Susanna Martinkova), ed il loro idillio procede nel migliore dei modi sino a quando non decidono di trasferirsi in campagna, in una splendida magione che ha vissuto momenti migliori, e che al pregio dell’isolamento unisce però un sottile alone d’inquietudine trasmesso, per la verità, dalla vicinanza alla fosca residenza dei
Desgrez, un’antica e chiacchierata famiglia del luogo.
Proprio mentre il nostro Dario trova, piuttosto casualmente, tra le ispirate pagine di un volume a lui caro, il ritratto di un’omonima Marie d’Aubrai, processata e condannata a morte per stregoneria nel 1851, nella residenza dei Desgrez si consuma la misteriosa morte del capofamiglia, Maurizio, avvenuta di notte, nel letto di malattia, apparentemente per una banale gastrite.
In verità il nipote del defunto confessa all’amico Gherardi tutte le sue perplessità, autorizzate sia dalle condizioni stazionarie dello zio, sia dalla lucida confessione della governante, che racconta d’avere veduto, proprio la fatidica notte, una dama d’altri tempi, apparsa quasi dal nulla al chiarore tremulo delle lampade a petrolio, ascendere le scale coi suoi ampi vestiti verso la stanza del malato, con una tazza fumante.
Chi era quella donna, posto che la governante l’abbia vista davvero? Maurizio Desgrez è stato forse avvelenato?
Carlo Desgrez (Warner Bentivegna) convince il Gherardi a tentare una riesumazione del cadavere, complice un vecchio amico di famiglia, un medico radiato dall’albo che al momento ha interessi indecifrabili. Il che puntualmente avviene, in una notte piuttosto burrascosa.
Ma la bara è vuota, come aveva rivelato il sinistro presagio della signora d’Aubray-Gherardi, e tra le falde del velluto si trova solo
una funicella con sette nodi: la scala del diavolo!
Non è solo questo, tuttavia, a turbare il nostro Dario, quanto una serie di particolari raccapriccianti. Secondo la governante, la lugubre donna (ovviamente velata) che avrebbe visto la notte fatale, vestiva gli stessi panni che si ammirano in un dipinto al naturale di casa Desgrez, in cui si vede una dama loro imparentata vissuta nel XVII sec.: una terza Marie d’Aubray, nota avvelenatrice, finita sul patibolo come la disgraziata discendente due secoli dopo.
Che rapporto esiste tra le due donne e la morte di Desgrez? E la moglie di Gherardi è poi legata a queste sinistre figure?
Di certo, la bella Marie non è più la stessa. Ora è sempre più introversa, inquieta, e sembra soffrire un malessere sottile inspiegabile, sino a quando un giorno scompare…
Come vedete, anche in questo caso abbiamo una solida storia di re-incarnati (che ci ricorda molto da vicino il canovaccio de ISDC), ben costruita, solida, e soprattutto, credetemi,
niente affatto scontata (non aggiungo altro per non rovinare il finale a nessuno). Qui e lì si nota qualche incongruenza, alcuni passaggi della trama decisamente ostici, qualche sbavatura, e, su tutto, il mediocre livello della recitazione (perfino
Ugo nostro rischia d'essere un po' troppo melenso, mentre
Gaipa, che brilla, ha visibilmente le mani troppo legate), forse determinata anche dai tempi di lavorazione.
Ricordo che vidi lo sceneggiato col solleone, in una tarda estate
forse dello stesso 1979 (o poco dopo, in una replica), e rimasi affascinato e avvinto da una trama che mi ricordava lo splendido
originale televisivo firmato da D'Anza neppure 10 anni prima.
RobertoC
[Modificato da Roberto@C 18/01/2007 12.41]