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FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI

Ultimo Aggiornamento: 22/10/2014 22:35
04/10/2013 10:19
 
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Mi fai rivivere quei tempi e quella televisione che non c'è più.
grazie a te mi ritornano molte cose in mente, quasi come fosse ieri e non così tanti anni fa. [SM=x520497]
[Modificato da elluas59 04/10/2013 10:20]


"Solo una vita vissuta per gli altri è una vita degna di essere vissuta" (Albert Einstein)
04/10/2013 15:32
 
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elluas59, 04/10/2013 10:18:

E' dificile starti dietro per me che ho pochissimo tempo di stare su Internet.
Sei comunque davvero un grande esperto,appassonato del genere, e non potevi trovare forum migliore per la tua passione per gli sceneggiati. [SM=g27811] [SM=x520497]



Ti ringrazio molto, e sono davvero molto felice di avervi trovati. [SM=x520497] E se non hai tempo di leggere settimanalmente le puntate, leggile pure quando puoi. Non c'è nessuna fretta. [SM=g27811]

elluas59, 04/10/2013 10:19:

Mi fai rivivere quei tempi e quella televisione che non c'è più.
grazie a te mi ritornano molte cose in mente, quasi come fosse ieri e non così tanti anni fa. [SM=x520497]



Grazie mille. Mi fai davvero un bel complimento. In effetti, è anche questo il mio intento: rivivere e far rivivere almeno in parte l'atmosfera di quegli anni, nel racconto dei rapporti tra Francis Durbridge e la Rai. Una cavalcata, come l'ho chiamata, attraverso una televisione, ed un'Italia che non ci sono più. E che un po' lo confesso, rimpiango... [SM=x520489]

Grazie davvero per la vostra attenzione. [SM=x520508]
11/10/2013 18:31
 
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FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non esiste più

di A. Scaglioni

Quinta puntata

L'ancor più clamoroso successo di "Giocando a golf, una mattina", con i suoi 15 milioni e centomila spettatori di media, ma con punte di oltre venti milioni all'ultima puntata, aprì la strada a quello che fu il momento d'oro del rapporto tra Francis Durbridge e la Rai. Come una storia d'amore, iniziata dapprima timidamente, e irrobustitasi nel tempo grazie alle continue conferme di un reciproco trasporto, esplose con vigore negli anni a cavallo del decennio '60-'70. I fans del giallo televisivo non dovevano più aspettare un triennio per vedere un nuovo sceneggiato del loro autore preferito. I tre gialli successivi di Durbridge, infatti, andarono in onda a circa un anno di distanza l'uno dall'altro, e sempre più o meno a ridosso delle feste natalizie, subito prima o subito dopo, come un ulteriore ed atteso dono. Il giallo era ormai un genere molto frequentato sugli schermi di Mamma Rai, e nei dodici mesi che separavano "Giocando a golf, una mattina" dal nuovo sceneggiato, erano stati trasmessi tra gli altri: "La donna di cuori" con Sheridan, cinque puntate; "I giovedì della signora Giulia", ancora cinque puntate, tratto da un soggetto di Piero Chiara, ma soprattutto "Coralba" di Daniele D'Anza, anche questo in cinque puntate, una grossa co-produzione tra Italia e Germania, una delle prime della Rai che la vedeva associata alla RPA tedesca, e che fu un grandissimo successo, soprattutto qui da noi, grazie anche ad un Rossano Brazzi che ripeteva un po' il personaggio interpretato in "Melissa" (tanto che ci fu chi pensò erroneamente che si trattasse di un seguito di quello sceneggiato). Il soggetto di "Coralba" era firmato da Biagio Proietti, un nome che si sarebbe fatto presto largo tra gli autori televisivi degli anni '70, e di cui avremo modo di parlare tra poco.
Il nuovo giallo di Francis Durbridge s'intitolava invece "Un certo Harry Brent". In realtà, in Inghilterra la versione originale era andata in onda nel 1965 col titolo di "A Man Called Harry Brent", e quindi non si poteva parlare di un copione recentissimo. Di conseguenza ancora una volta al nuovo regista, Leonardo Cortese, autore delle ultime due "donne" di Sheridan, che subentrava al veterano D'Anza, si presentava il consueto rischio, incontrato dai suoi predecessori, delle indiscrezioni inopportune sul finale, e con ben cinque anni di storia alle spalle e chissà quante repliche, quel rischio era più presente che mai. Ma Cortese non era un novellino del genere, avendo al suo attivo già le ultime due "donne" di Sheridan, ed in predicato di concludere per l'anno seguente il poker con "La donna di picche". Per cui furono studiati tutta una serie di precauzioni per impedire, nei limiti del possibile, che voci incontrollate filtrassero dal set. Oltre alle solite, quelle classiche del tenere assolutamente secretate le ultime pagine del copione e girare più finali, e quelle più recentemente sperimentate con successo da D'Anza, il cambiamento dei nomi dei personaggi e il rimescolamento dei loro rapporti familiari e professionali, Cortese utilizzò un nuovissimo accorgimento squisitamente tecnico. Tutte le sequenze-chiave della storia furono girate, per così dire, a "pizzichi e bocconi": cioè, spesso a distanza di giorni se non di settimane, per confondere ulteriormente le idee agli stessi protagonisti, venivano girati dei primi piani in cui ogni attore diceva le sue battute, in totale isolamento dagli altri; poi i diversi spezzoni di pellicola venivano montati ad arte tra loro, fino ad assumere, ma solo al momento della trasmissione, un senso compiuto. Un lavoro certosino che il regista si assunse al termine delle riprese e che alla fine risultò più spossante della regia stessa. Quindi si capisce come dalle interviste ai vari attori, al di fuori delle scontate dichiarazioni di prammatica, risaltasse l'assoluta incapacità di questi di dare spiegazioni sensate su quello che avevano effettivamente realizzato, e men che meno, naturalmente, poter farsi scappare, anche involontariamente, il nome del colpevole.
La storia, inoltre, possedeva decise caratteristiche spionistiche, quasi alla 007, con agguati, inseguimenti e omicidi tra le strade di Londra che sembravano fatte apposta per confondere le acque già abbastanza melmose dell'intrigo: Sam Fielding, piccolo industriale di Sevenoaks, un paesino del Kent, viene apparentemente senza una ragione ucciso a colpi di pistola nel suo ufficio da Barbara Smith, una misteriosa ragazza giunta da Londra per un colloquio di lavoro. Subito dopo la donna fugge e si mette in comunicazione con qualcuno che le dà un appuntamento, ma viene inconsapevolmente salvata dall'intervento della polizia che l'arresta un attimo prima che le sparino. L'assassinio getta lo scompiglio nel tranquillo villaggio e sconvolge la vita della giovane Susan Bates, segretaria di Fielding e prossima alle nozze con il proprietario di un agenzia di viaggi di Londra, Harry Brent. Susan che aveva già dato il preavviso per licenziarsi, si trova di colpo a dovere da sola gestire la ditta lasciata dal defunto, oltre che il lutto per la morte del suo datore di lavoro a cui era sinceramente affezionata. Intanto l'assassina arrestata si rifiuta non solo di dire le ragioni del suo gesto, ma anche solo di aprire bocca. Di fronte all'ostinato mutismo della ragazza, l'ispettore Alan Milton, della polizia locale, ed ex-fidanzato di Susan, si trova costretto ad indagare alla cieca su un delitto apparentemente insensato. Niente infatti legava la vittima alla sua assassina. Invece, scopre Milton con sorpresa, dei legami sembrerebbero esserci proprio con Harry Brent, il promesso sposo di Susan, che per ovvie ragioni, Alan non vede con simpatia. Brent e la Smith, infatti, hanno viaggiato insieme nello stesso scompartimento sul treno da Londra e, particolare inquietante, Barbara aveva acquistato un mazzo di fiori che ha poi portato sulla tomba dei genitori di Brent al cimitero di Sevenoaks, prima dell'omicidio. I due allora si conoscevano? La cosa sembrerebbe confermata dal fatto che nella borsa della donna viene rinvenuto un biglietto per uno spettacolo teatrale a Richmond, un sobborgo di Londra, per il posto accanto a quello riservato allo stesso Brent. Questa sequela di indizi compromettenti non trova però spiegazioni nè da parte di Brent che nega ogni coinvolgimento, né tanto meno da parte di Barbara Smith, perché qualcuno la fa tacere per sempre avvelenandola nella cella del posto di polizia dove è rinchiusa. Prima di morire però la donna sussurra il nome di Harry Brent. Ma questo intricato inizio non è che la punta dell'iceberg di un plot in cui si confronteranno servizi segreti, agenti sotto copertura, sicari senza scupoli e un misterioso Signor X, a capo di una sezione inglese di una pericolosa organizzazione internazionale di spionaggio. Naturalmente i cadaveri abbonderanno.
"Un certo Harry Brent", fu il primo giallo di Durbridge ad essere girato per gli interni nei nuovi studi di Napoli (che come vedremo assumeranno sempre più rilievo negli anni a seguire), mentre per gli esterni, tutta la troupe si trasferì come era ormai abitudine sui luoghi reali della storia, e cioè nel villaggio di Sevenoaks, a Londra ed a Richmond.
L'esordio avvenne ancora di domenica ed ancora sul Nazionale, e nuovamente con la formula bisettimanale, andando in onda per sei puntate ogni domenica e martedì alle 21,05 dal 1 novembre 1970, e concludendosi, dopo tre settimane intensissime, il martedì 17 dello stesso mese. Ormai il successo dei gialli di Durbridge sembrava inarrestabile: il gradimento sfondò il muro già altissimo del 82%, toccando quota 83, mentre la media di ascolto si attestò a quasi diciannove milioni di spettatori. Contrariamente a ciò che era accaduto sotto la gestione di Daniele D'Anza, questa volta non fu il regista stesso ad adattare la traduzione della solita puntualissima Franca Cancogni, ma un giovane sceneggiatore con già all'attivo un giallo tv di grande successo, "Coralba", Biagio Proietti, che venne incaricato di intervenire sul copione di Durbridge per trasformare i sei episodi originali di mezz'ora in altrettanti episodi di durata doppia, allungando le scene, moltiplicando i dialoghi, approfondendo le psicologie dei personaggi.
Sfortunatamente, "Un certo Harry Brent" è l'unica versione italiana di uno sceneggiato televisivo di Durbridge che non sono in grado di confrontare con l'originale, non essendo mai uscito nel nostro paese il romanzo omonimo, ed essendomi anche stato fino ad oggi impossibile rintracciarne una copia in inglese o in francese (l'unica edizione disponibile è in tedesco, lingua che mi è, ahimè, sconosciuta!). Quindi non so fino a che punto, Proietti abbia "manipolato", diciamo così, il copione di Durbridge, ma se dovessi sbilanciarmi in un'ipotesi, direi che sia intervenuto sicuramente sulla figura di Alan Milton, interpretato dal bravissimo Roberto Herlitzka. Questo funzionario di polizia, così ostentatamentemente grigio e banale, un tipo che non ti volteresti mai a guardare una seconda volta tanto sembra confondersi con l'ambiente circostante, che guida una macchinuccia quasi fantozziana, il cui aspetto fa a pugni con quello del suo facoltoso ed affascinante rivale in amore, Harry Brent (non a caso interpretato da quell'Alberto Lupo, indimenticato dottor Manson de "La cittadella", che da anni faceva strage di cuori tra le telespettatrici italiane di ogni età), ricorda troppo da vicino alcuni personaggi che Proietti, in coppia con la moglie Diana Crispo, creerà successivamente per i suoi gialli realistici e minimalisti (tipo "Dov'è Anna?), per trattarsi di una pura coincidenza.
Insieme ai già citati Roberto Herlitzka e Alberto Lupo (alla sua prima, ma non ultima, esperienza con Durbridge), vanno ricordati tra gli altri: Enzo Garinei (il sergente Roy Philips) e Stefanella Giovannini (Barbara Smith), rispettivamente fratello e figlia della premiata coppia del musical italiano, Pietro Garinei e Sandro Giovannini; e poi Claudia Giannotti (Susan Bates), Carlo Hintermann (suo fratello Albert), Valeria Fabrizi (la cantante Sarah Miles, che come tale interpreta anche la canzone della sigla finale, la non indimenticabile "Un amico", scritta da lei stessa insieme a Cortese e Rein); Ferruccio De Ceresa e Marzia Ubaldi (i due ambigui coniugi Stone); Carlo Bagno (Sam Fielding) e Walter Maestosi (Bryan Finlay, uno degli spietati killer dell'organizzazione).
Nell'ottica perfetta del gioco poliziesco, Cortese nei titoli di testa trascurò totalmente i nomi degli interpreti e presentò in video gli attori uno dopo l'altro, nell'ordine di apparizione puntata per puntata, semplicemente con i nomi dei rispettivi personaggi, completando la lista ogni volta con l'inquietante ombra sul muro del misterioso capo dell'organizzazione e colpevole principale del giallo, siglato con la dicitura de "Il signor X". Il tutto sulle note di "Roots of Oak", splendida canzone eseguita dal cantante scozzese Donovan. Purtroppo la suggestione di questa sigla, ogni volta differente perché ogni volta era diverso l'ordine di apparizione dei personaggi e perchè ad ogni puntata ne spuntavano di nuovi, si è un po' persa a causa evidentemente del deperimento del nastro originale, che ha costretto i curatori di Rai Teche a sfruttare la sigla della prima puntata anche per due puntate successive (la terza e l'ultima) sciupandone così in parte l'effetto. "Un certo Harry Brent" è andato in onda in questa edizione rimaneggiata diverse volte in questi ultimi anni ed è quella che si trova anche nei DVD. Fortunatamente si sono invece salvati gli splendidi riassunti "disegnati", ad opera di Dino Di Santo, che precedono ogni episodio, ancora un caso di originale sperimentazione in un giallo di Durbridge.
Normalmente in questa mia disamina dei vari sceneggiati di Durbridge, cerco di evitare di raccontare i finali, anche se ormai dovrebbero essere conosciutissimi e stravisti da tutti, ma è una specie di accordo che intercorre tacitamente fra tutti gli appassionati di gialli. In questo caso però dovrò fare almeno parzialmente un'eccezione e prego quindi chi non volesse avere spoilers di saltare questo ultimo paragrafo. Non si può infatti parlare di questo giallo di Durbridge senza citare il tragico e anomalo finale che vide la morte del protagonista della storia, l'amatissimo Alberto Lupo, ucciso inaspettatamente dal bieco capo dell'organizzazione proprio nelle ultime fasi della storia. In questo particolare caso, contrariamente a quanto ho scritto precedentemente, essere stato il colpevole in un giallo a puntate non poté considerarsi una fortuna. In quanto, a quel che si disse, lo sventurato attore che aveva interpretato la parte dell'assassino divenne odiatissimo dai fans di Lupo, tanto da dover cambiare il numero di telefono (ogni giorno riceveva telefonate di insulti da qualcuno che evidentemente era riuscito a conoscere il suo indirizzo telefonico). Ma chissà, forse anche questa non fu altro che un'invenzione di qualche giornalista particolarmente fantasioso.

(5 - continua)
12/10/2013 01:10
 
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Devo cnfessare che non ce la faccio più a leggere i tuoi articoli, perchè mi viene da pensare alla televisione di oggi......così brutta, inutile, trash, etc. e siccome non esiste la macchina del tempo, fa male pensare al passato, a quando la tv era curata fin nei minimi dettagli.
Ovviamente tu non hai colpe, è la mia reazione nel pensare a questo brutto presente. [SM=x520497]


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12/10/2013 11:49
 
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Beh, sì, ti capisco. Un po' è anche la mia reazione mentre faccio le ricerche o rileggo vecchi appunti per poter scrivere con cognizione di causa (non sono ovviamente in grado di ricordare tutto con la sola memoria, visto che all'epoca ero ancora poco più che un bambino). Quando mi vado a consultare vecchi numeri del mitico ed irripetibile Radiocorriere, ad esempio, mi viene un'insopprimibile nostalgia, pensando che ormai è defunto da quasi un ventennio e l'unica pubblicazione di un certo livello, di mia conoscenza, oggi ancora esistente è Sorrisi e Canzoni, purtroppo arresasi anch'essa al gossip, ad informazioni triviali, e soffocata da decine e decine di palinsesti dei vari canali satellitari e terrestri.
Tuttavia reimmergermi in quel tempo, anche se mi dà un po' di tristezza, mi regala anche qualche momento di serenità nell'associare i miei ricordi personali a certi eventi televisivi, e mi ridà anche la voglia di tornare a guardare quei vecchi programmi, dimenticando almeno per un'ora le angosce del presente. Credimi, anche questo serve.
[Modificato da a.scaglioni 12/10/2013 11:50]
12/10/2013 12:44
 
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Re:
elluas59, 12/10/2013 01:10:

Devo cnfessare che non ce la faccio più a leggere i tuoi articoli, perchè mi viene da pensare alla televisione di oggi......così brutta, inutile, trash, etc. e siccome non esiste la macchina del tempo, fa male pensare al passato, a quando la tv era curata fin nei minimi dettagli.
Ovviamente tu non hai colpe, è la mia reazione nel pensare a questo brutto presente. [SM=x520497]


Per me è vero l'opposto: è come respirare boccate di aria pura stando immersi in un gas tossico... [SM=g27811]




- Pensi che un uomo possa cambiare il suo destino?
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(L'ultimo samurai)
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Veramente bella l'analisi di A.Scaglioni su Francis Durbridge. Sì in effetti la tv è cambiata moltissimo, ma proprio anche la formula degli sceneggiati e telefilm è cambiata: una volta c'erano più dialoghi, era proprio differente.
12/10/2013 22:41
 
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Aggiungo un'informazione alla peraltro ottima ed esaustiva disamina di A. Scaglioni: la realizzazione di "Un certo Harry Brent" costò alla Rai circa un miliardo di lire; non sono in grado di scendere in ulteriori dettagli, so solo che il 22 novembre 1970 uscì sul quotidiano 'Gazzetta del Popolo' un articolo intitolato "Costa un miliardo (a scatola chiusa) fare un giallo come Harry Brent".
[SM=g27817]


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13/10/2013 01:22
 
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L'ultimo mio post è stato un pò uno sfogo da parte mia, contro la tv di oggi,semmplicemente inguardabile.
In realtà anch'io amo guardare i programmi del passato e resto stupefatto dalla loro bellezza, dall'attenzione a tutti i minimi particolari, all'amore, alla passione, alla competenza, alla professionalità, con la quale venivano realizzati.
Poi, è cambiato il mondo, non poteva non cambiare il modo di fare tv.
Sarà forse che mi sono immerso molto nel passato, in questi ultimi 10 anni che mi ha fatto reagire così, con il mio post precedente.
Penso a quel sito da cui molti di noi provengono e dove ci siamo virtualmente conosciuti, www.pagine70.com, che non esiste più.
E' stata come una full immersion nel passato.
Ora sento il bisogno di uno stop col passato e di concentrarmi sul presente e sul futuro.


"Solo una vita vissuta per gli altri è una vita degna di essere vissuta" (Albert Einstein)
13/10/2013 01:23
 
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E' incredibile, ma ricordo anch'io una polemica per il costo di quello sceneggiato.
Non so come sia possibile, visti i tanti anni passati, ma la ricordo.


"Solo una vita vissuta per gli altri è una vita degna di essere vissuta" (Albert Einstein)
13/10/2013 11:04
 
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Lucawenz, 12/10/2013 22:41:

Aggiungo un'informazione alla peraltro ottima ed esaustiva disamina di A. Scaglioni: la realizzazione di "Un certo Harry Brent" costò alla Rai circa un miliardo di lire; non sono in grado di scendere in ulteriori dettagli, so solo che il 22 novembre 1970 uscì sul quotidiano 'Gazzetta del Popolo' un articolo intitolato "Costa un miliardo (a scatola chiusa) fare un giallo come Harry Brent".
[SM=g27817]



Grazie per queste ulteriori informazioni sempre preziose che trovo spesso su questo sito, alcune delle quali mi saranno utili nei prossimi capitoli del mio articolo. [SM=g27811] [SM=x520510]
17/10/2013 17:59
 
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FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non esiste più

di A. Scaglioni

Sesta puntata

Nonostante il successo che gli sceneggiati gialli di Durbridge avevano sempre riscosso tra i telespettatori italiani, prima di "Un certo Harry Brent", nessuna delle opere dello scrittore inglese era mai riuscita a piazzarsi nella Top Ten degli ascolti. Ora, per essere precisi, bisognerebbe specificare che soltanto dal 1965 esisteva ufficialmente un Servizio Opinioni, i cui dati venivano comunicati pubblicamente attraverso le pagine del Radiocorriere TV, quindi non si hanno dati certi sul periodo antecedente, ma è difficile pensare che i quasi sei milioni de "La sciarpa", o i quasi quattro di "Paura per Janet", nel 1963, potessero seriamente essere riusciti ad entrare in una ideale classifica dei dieci programmi di maggior successo, quando a far la parte del leone erano quasi sempre, oltre all'onnipresente Festival di Sanremo, varietà, giochi a quiz, qualche importante appuntamento sportivo, o in alternativa i grandi sceneggiati tratti dai classici letterari, tutti trasmessi sul Programma Nazionale, che contavano non meno di dodici-quindici milioni di spettatori a testa. Il primo giallo a puntate a riuscire ad entrare in classifica fu, proprio nel 1965, "La donna di fiori" diretto da Anton Giulio Majano, prima inchiesta "lunga" del popolarissimo tenente Sheridan, che con i suoi tredici milioni e seicentomila spettatori di media a puntata si piazzò all'ottavo posto in quell'anno. Negli anni immediatamente successivi nessuno sceneggiato poliziesco, né Sheridan con le sue altre "donne", né tantomeno "Melissa" o "Coralba" di Daniele D'Anza, riuscì nell'impresa di dare la scalata alla classifica. Solo "Giocando a golf, una mattina", nel 1969, con quindici milioni e centomila arrivò a sfiorare la decima posizione, strappatale però da "I fratelli Karamazov" per soli trecentomila spettatori in più.
Ma nel 1970, finalmente "Un certo Harry Brent" di Francis Durbridge riuscì a sfondare quel muro, apparentemente invalicabile, e con i suoi diciotto milioni e ottocentomila spettatori si piazzò ad un onorevolissimo settimo posto, migliorando di una posizione il risultato ottenuto da Sheridan cinque anni prima e divenendo di fatto il secondo giallo a puntate mai riuscito ad entrare nella mitica Top Ten. Il primo firmato dallo scrittore inglese ma, come vedremo, non l'ultimo.
In quel 1971, che a novembre avrebbe visto arrivare sugli schermi della Rai la sesta versione italiana di un giallo televisivo di Durbridge, l'evento mediatico dell'anno a livello di fiction era stato "Il segno del comando", curioso mix tra detective-story e ghost-story, diretta dal veterano Daniele D'Anza su un soggetto originale di Flaminio Bollini e Giuseppe D'Agata, che tenne incollato al video il pubblico italiano per cinque domeniche, tra maggio e giugno, nel seguire le avventure del professor Edward Foster (Ugo Pagliai) alla scoperta dei misteriosi segreti soprannaturali celati negli antichi vicoli della Roma sette-ottocentesca e all'inseguimento di un fantasma con le affascinanti fattezze di Carla Gravina. Una storia di reincarnazione e di parapsicologia (molto di moda in quel periodo) che è rimasta un classico tra gli sceneggiati Rai, tutt'oggi di gran richiamo ad ogni nuova edizione in DVD e citatissima in ogni libro o articolo che si occupi dell'argomento, ma che per quanto successo abbia potuto riscuotere (ci credereste?) non riuscì a piazzarsi nella classifica dei dieci programmi più seguiti dell'anno. Cosa che invece riuscì qualche mese dopo, e più che egregiamente, a "Come un uragano", il nuovo giallo di Francis Durbridge, in onda per la prima volta in sole cinque puntate, dal 28 novembre al 12 dicembre, ogni domenica e martedì sul Nazionale.
Anche nello script originale, "Bat Out of Hell", datato 1966, Durbridge, era stato costretto per la prima volta, per un'improvvisa decisione dei dirigenti della BBC, a ridurre le classiche sei puntate da 30 minuti l'una a cinque, contraendo la trama della quinta e della sesta in un'unica puntata, ma come ormai ben sappiamo, le cose funzionavano diversamente in Italia, ed anche se pure da noi ci fu la diminuzione di una puntata, restava il problema di rimpinguare adeguatamente la storia per trasformare le due ore e mezzo scarse della serie inglese nelle cinque ore abbondanti della versione italiana. Ancora una volta, sotto l'attenta regia di Silverio Blasi, regista esperto ma esordiente assoluto nel genere poliziesco, Biagio Proietti fu chiamato ad adattare la traduzione di Franca Cancogni del testo di Durbridge, per produrre una nuova sceneggiatura che soddisfacesse le esigenze di durata richieste dalle trasmissioni Rai. E per la prima volta (evidentemente questo era lo sceneggiato delle "prime volte"), lo fece, non limitandosi ad aggiungere od allungare scene e dialoghi, ma inserendo un'altra trama nella trama originaria. Infatti, a grandi linee, la storia scritta da Durbridge raccontava di un delitto progettato da una donna e dal suo giovane amante ai danni del marito di lei e dei guai in cui i due improvvisati criminali incappano quando il cadavere scompare e qualcuno comincia a perseguitarli. Si trattava, come si vede, di un giallo un po' più classico dei soliti di Durbridge a base di più o meno vaste organizzazioni criminali e di misteriosi capi senza volto. Proietti pensò bene invece di reintegrare nella storia proprio quei requisiti che "mancavano", rinforzando il plot con elementi più caratteristici dello stile "durbridgiano": nella cittadina di Alunbury, nel Suffolk, il nuovo ippodromo di recente costruzione sta rapidamente diventando un punto di riferimento per gli appassionati di eventi ippici, sollevando l'attenzione di Scotland Yard che ha notato strani e cospicui movimenti di denaro, tanto da sospettare che un'importante organizzazione di scommesse clandestine vi abbia messo gli occhi sopra. A questo scopo da Londra è arrivato l'ispettore Clay, ufficialmente per sostituire il suo collega locale, l'ispettore Booth, in procinto di partire per un periodo di vacanze, ma in realtà per indagare di nascosto sull'ippodromo. Particolarmente sorvegliati sono Ken Harding, un piccolo allibratore del luogo, e Albert Roach, ricco impresario edile e proprietario dell'ippodromo stesso. Nel frattempo, apparentemente estraneo a tutto questo, si sta svolgendo un classico dramma famigliare. Diana Stewart, la bella e trascurata moglie di Geoffrey Stewart, l'agente immobiliare di Alunbury, ha intrecciato con il giovane assistente di suo marito, Mark Paxton, una relazione sentimentale, e insieme i due hanno progettato di sbarazzarsi del ricco ed avaro coniuge per godersi l'eredità. Un giorno, Paxton, con un pretesto riesce a trascinare Geoffrey in una vecchia e cadente casa, sostenendo che Albert Roach ha intenzione di acquistare il terreno per costruirci un albergo. Lieto di potersi finalmente sbarazzare di una proprietà che credeva invendibile, Geoffrey abbocca e Paxton lo uccide con due colpi di pistola. Secondo il piano previsto, i due complici dovrebbero liberarsi del corpo portandolo in una cava di pietra vicina dove verrebbe per sempre seppellito dalle esplosioni provocate dai lavori in corso. Così in attesa di trasferirlo nella sua ultima dimora, Paxton nasconde il morto sulla sua auto e la parcheggia nel garage di una casa deserta. Ma quando Mark torna per recuperare il cadavere, questo è scomparso. E poco dopo, Diana riceve una telefonata da suo marito, in cui il "defunto" le ingiunge di riconoscere il suo corpo quando verrà chiamata per l'identificazione. Spaventatissima, la donna si confida con l'amante che però si rifiuta di credere che a telefonarle sia stato Geoffrey. Tuttavia il giorno dopo, un corpo sfigurato, ma con gli abiti di Stewart, viene effettivamente ritrovato nella pietraia in cui i lavori sono stati inaspettatamente interrotti, e Diana e Mark non possono fare altro che fingere di riconoscere il marito di lei. Indagando in coppia sul caso, gli ispettori Booth e Clay annusano subito qualcosa di strano nell'atteggiamento di Diana e Paxton, ma esaminano anche da vicino l'entourage di amici e conoscenti degli Stewart, dai coniugi Glenda e Paul Cooper, proprietari di un elegante negozio di lampadari, a Bill Grant, gestore di un parco di auto usate, all'ambigua Kitty Ryan, padrona di un negozio di dolciumi e ficcanaso ufficiale del paese. Seguendo le indicazioni di una nuova telefonata del presunto morto, questa volta ricevuta da Glenda Cooper, Diana si reca ad un appuntamento con il marito in una località vicina, Pine Lodge, ma qui trova ad aspettarla Clay, giunto anche lui su una segnalazione anonima, ed una brutta sorpresa: il cadavere di Geoffrey è stato ritrovato proprio lì privo di vestiti e morto da almeno due giorni, mentre il corpo da lei identificato sembra essere quello dell'allibratore, Ken Harding. Ora Diana dovrà rispondere a molte difficili domande. Ma soprattutto ad alcune che si pone lei stessa: a chi apparteneva la voce che al telefono si è presentata come suo marito? E perché adesso la sua amica Glenda nega di aver mai ricevuto la chiamata di Geoffrey, affermando che è stata lei a dirle di averla avuta? E che significa la frase "A Diana, entrata nella mia vita come un uragano", fatta incidere da Geoffrey su un portasigarette d'oro, ritrovato nella tasca della sua pelliccia, ma che lei non ha mai visto? Altri cadaveri, naturalmente, si aggiungeranno alla lista, collegando presto le due vicende, quella delle scommesse truccate e quella del complotto uxoricida, solo apparentemente slegate.
Come di consueto mi sono limitato a fare un rapido sunto delle prime fasi della storia, invitandovi, se ancora non l'avete vista, a recuperarla nella versione DVD in cofanetto (o in alternativa su YouTube, dove credo che tutti gli sceneggiati di Durbridge, da "Melissa" in poi, siano disponibili).
Dicevo più sopra, che Proietti aggiunse all'intrigo da "delitto in famiglia" di Durbridge, tutta la trama associata all'organizzazione delle scommesse clandestine e all'ippodromo, che nell'originale non esisteva, ma lo fece con tale maestria ed utilizzando un tema che si legava così bene a Durbridge che i due capi della storia finiscono per amalgamarsi perfettamente, anche se l'ultima puntata dovette essere quasi completamente riscritta, lasciando del testo originale praticamente solo l'identità del colpevole e poco altro.
E il pubblico televisivo premiò lo sceneggiato diretto da Blasi con l'incredibile media di quasi ventidue milioni di spettatori a puntata, e con punte di oltre venticinque nell'ultima. Il miglior risultato di ogni tempo per un giallo alla televisione italiana. Questi ascolti da finale dei mondiali di calcio fruttarono a "Come un uragano" il podio nella Top Ten del 1971, con un bellissimo terzo posto, subito dietro a "Canzonissima" e alla serata finale del Festival di Sanremo, e davanti a pesi massimi degli ascolti come il "Rischiatutto" di Mike Bongiorno e ad uno dei più famosi sceneggiati di Anton Giulio Majano, "E le stelle stanno a guardare", tratto da Cronin, con Giancarlo Giannini, Orso Maria Guerrini e Anna Maria Guarnieri, tra gli attori più amati della tv di quel tempo.
Ma anche il giallo di Durbridge poteva sfoggiare un cast di tutto rispetto: Alberto Lupo, redivivo dopo l'infelice fine di "Un certo Harry Brent", tornava nel ruolo dell'ispettore Clay; la splendida e giovanissima Delia Boccardo (allora appena ventitreenne) era Diana Stewart; Corrado Pani, altro idolo del pubblico femminile dell'epoca, era Mark Paxton; e poi, Renzo Montagnani come Bill Grant, Adriana Asti e Cesare Barbetti nella parte di Glenda e Paul Cooper, Nora Ricci, vecchia gloria del teatro italiano, come la ficcanaso Kitty Ryan, Renato De Carmine come il losco Albert Roach, e lo stesso regista Silverio Blasi si ritagliò una breve parte (breve perché lo fanno fuori già nella prima puntata) nel ruolo dell'allibratore Ken Harding. Aggiungerei anche Gabriella Grimaldi, che appare solo dalla quarta puntata nel ruolo di una ragazza che darà una svolta decisiva al caso, e che è in realtà la sorella di Delia Boccardo.
Girato come di consueto in estate, per poter essere pronto alla messa in onda in autunno inoltrato, tra Roma e, per gli esterni, l'Inghilterra, in particolare Londra e Claire, un villaggio ad un centinaio di chilometri dalla capitale britannica, dove fu ricostruito il paesino di Alunbury, "Come un uragano" fu avvolto dalla solita cappa protettiva di mistero sulle riprese che tanto bene aveva funzionato nelle occasioni precedenti a livello mediatico, assicurandosi un elevato grado di curiosità da parte dei giornali e del pubblico. L'unica indiscrezione che circolava sul set era che questa volta Alberto Lupo sarebbe giunto incolume alla fine. Lui non sarebbe stato una delle vittime, non solo perché era il poliziotto che conduceva le indagini, ma soprattutto perché dopo il trambusto di "Un certo Harry Brent", nessuno si sarebbe preso la responsabilità di farlo morire di nuovo sullo schermo.
Il finale, invece, e quindi il nome del colpevole, vennero, a quanto si disse, nascosti anche allo stesso regista, che asseriva negli articoli del Radiocorriere TV di essere stato affiancato sempre da un funzionario della Rai che gli suggeriva continuamente cosa riprendere, come riprenderla e per quanto riprenderla. Dovette, come i colleghi che l'avevano preceduto, girare più finali, ma stavolta senza sapere lui stesso quale fosse quello vero, che sarebbe stato deciso e montato sotto la supervisione di questo non meglio identificato "funzionario" solo a poche ore dalla messa in onda dell'ultima puntata. Se questa fosse solo l'ennesima invenzione dell'ufficio stampa della Rai, per acuire la curiosità dei lettori, non saprei dirlo, ma non lo escluderei.
Il commento musicale fu affidato a Bruno Nicolai, compositore anche per il cinema e stretto collaboratore di Ennio Morricone di cui aveva diretto tra l'altro le musiche per i film di Dario Argento, che portò appunto echi "morriconiani" nella colonna sonora, tanto che nei momenti di tensione pare di riconoscere le tipiche note stridenti di alcuni temi de "L'uccello dalle piume di cristallo" o "Il gatto a nove code". Ma anche la regia di Blasi sembra farsi debitrice in più di un momento della lezione argentiana, e più in generale delle atmosfere dei "thrilling all'italiana", tanto di moda proprio in quegli anni, con insistite soggettive dell'assassino e primi piani sulle sue minacciose mani guantate di nero.
Di Nicolai anche "Diana", la bellissima sigla finale cantata da David King, su immagini caleidoscopiche che ripetono quelle dei quasi inesistenti titoli di testa, ruotando sullo schermo proprio "come un uragano".

(6 - continua)
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Sergio Rossi, Delia Boccardo, Corrado Pani, il regista Silverio Blasi.


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FRANCIS DURBRIDGE E LA RAI
Analisi di un fenomeno in una televisione che non esiste più

di A. Scaglioni

Settima puntata

Nei primi anni '70 soffiavano venti di rinnovamento sull'Italia televisiva. La concessione ventennale esclusiva alla Rai per i servizi radiotelevisivi stava per scadere, e mentre alle frontiere di lì a poco si sarebbero affacciate le prime emittenti straniere (quelle che verranno popolarmente definite "TV estere", TeleMonteCarlo, TeleCapodistria, la TV Svizzera), già a settembre del 1972 un'emittente privata di casa nostra, Telebiella, iniziava a trasmettere con una certa regolarità. Insomma, stava cominciando ad avvertirsi una certa aria di novità e, anche se in concreto non sarebbe avvenuto niente di rilevante ancora per un po', avrebbe portato alla fine alla cosiddetta "Riforma della Rai", che avrebbe cambiato profondamente il modo di fare e vedere televisione nel nostro paese.
Ma le novità non sarebbero state solo amministrative, e proprio il 1972 rappresentò, consapevolmente o no, un punto di svolta per la fiction alla Rai, che con "A come Andromeda" si aprì ad un genere nuovo per gli sceneggiati, la fantascienza, che porterà negli anni risultati interessanti ma discontinui. Diretto da Vittorio Cottafavi, "A come Andromeda" fu realizzato con la stessa tecnica utilizzata per Durbridge, prendendo, cioè, un copione televisivo inglese (firmato da Fred Hoyle e John Eliot, tradotto e adattato, guarda caso, dalla nostra Franca Cancogni, e tratto da un romanzo dello stesso Hoyle), e girandone una versione con attori italiani, in questo caso Luigi Vannucchi, Paola Pitagora e Tino Carraro, tra gli altri.
Anche il giallo, però, aspirava a rinnovarsi, cercando, ad esempio, nuovi sbocchi nelle storie di Friedrich Dürrenmatt, "Il giudice e il suo boia" e "Il sospetto", dirette da Daniele D'Anza, entrambe trasmesse in due puntate, con Paolo Stoppa nella parte del problematico e angosciato commissario Barlach, che trasformavano il giallo in un claustrofobico racconto esistenzialista. Questi due brevi sceneggiati, pur raccogliendo solo un discreto successo di pubblico, risultarono però importanti perché preannunciavano un nuovo modo di fare giallo in tv. I nuovi autori che crescevano alla Rai, registi, sceneggiatori, ma anche molti attori, ispirati dal cinema soprattutto europeo della fine degli anni '60, rifuggivano i "generi", guardati per lo più con sospetto, se non con disprezzo, e se proprio dovevano affrontarli volevano farlo da un nuovo punto di vista. Nel caso del giallo, queste nuove leve davano il bando al poliziotto "tutto d'un pezzo", quella macchina investigativa che aveva la sola funzione di svolgere indagini e smascherare assassini, rifiutando in pratica la struttura tipica del racconto poliziesco (delitto-indagine-soluzione), per concentrarsi di più sui personaggi che, secondo loro, dovevano smettere di essere semplici marionette di un gioco studiato a tavolino, e diventare esseri umani realistici, con tutti i pregi e tutti i difetti degli esseri umani reali. Destrutturare l'impianto poliziesco classico significava anche, proprio come nella realtà, perdere la certezza che ogni delitto trovasse una soluzione. Nei nuovi gialli, le indagini procedevano a fatica, la soluzione era incerta, e gli assassini, ammesso si riuscisse ad identificarli, o risultavano poveri disperati più vittime che colpevoli, o addiritura riuscivano a sfuggire alla legge perché protetti da "poteri forti" che ne assicuravano l'immunità. Insomma, questa nuova filosofia di giallo, che potremmo definire "neorealista", strappava il genere al mondo della fantasia, dove la giustizia finiva sempre per trionfare, per precipitarlo nella realtà di tutti i giorni, in cui sappiamo bene che raramente questo avviene.
E uno di questi nuovi autori era proprio Biagio Proietti, che segnò un po' il confine tra i due modi di "pensare" il giallo, l'antico e il moderno. Avendo iniziato la sua carriera in Rai scrivendo gialli a puntate di impianto classico, che fossero di sua mano, come "Coralba", o adattamenti di opere altrui, come appunto i gialli di Francis Durbridge, Proietti aveva comunque inserito elementi innovativi, a cominciare proprio dalle figure dei poliziotti, umani al punto di apparire grigi ed anonimi come l'ispettore Milton di "Un certo Harry Brent", ampliando poi negli anni il discorso fino ad arrivare nel 1976 a "Dov'è Anna?", forse la sua opera più conosciuta e ricordata come autore televisivo, in cui le indagini sulla scomparsa di una donna si sviluppano attraverso sette puntate, piene di errori, di false piste, di vicoli ciechi, proprio come quelle che si svolgerebbero nel mondo reale, e proprio come quelle facendo temere che non trovino mai uno sbocco risolutivo, e quando alla fine il mistero si dissolve, non c'è catarsi, nessuna soddisfazione, resta solo l'amarezza; e il commissario Bramante (Pier Paolo Capponi) si lascerà sfuggire una frase emblematica: "Era tanto tempo che non risolvevo più un caso, che avevo dimenticato quanto possa essere terribile la verità."
Nel 1972, questi movimenti sono ancora in nuce, ma probabilmente non può considerarsi un semplice caso il fatto che, quasi in contemporanea, due pilastri del giallo televisivo più classico della Rai che avevano tenuto compagnia al pubblico dalla prima metà degli anni '60 e oltre, vengano "pensionati" forzatamente proprio in quell'anno. Mentre il commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi per 34 episodi, suddivisi in quattro cicli di grande successo, in "Maigret in pensione" finisce davvero per ritirarsi a vita privata, l'altro baluardo del poliziesco autoctono, il tenente Sheridan, al secolo Ubaldo Lay, nato addirittura alla fine degli anni '50 nel gioco a quiz "Giallo Club", fa appena a tempo a smascherare il suo ultimo colpevole ne "La donna di picche", che concludeva il suo poker di donne, prima di essere abbattuto da un colpo d'arma da fuoco il 7 aprile del 1972, dopo 13 anni di successi. A questi potremmo aggiungere Nero Wolfe, del grande Tino Buazzelli, che aveva però risolto il suo ultimo caso nel 1971. Comunque sia, la "morte", civile o fisica, di queste colonne del giallo, in un periodo di tempo relativamente breve, segnò un momento indubitabilmente importante per la fiction tv in Italia, e fece capire che un'epoca, e con essa un certo modo di fare televisione, stava chiudendosi.
Anche per Durbridge, il 1972 rappresentò una svolta. Venne infatti girato quello che sarà l'ultimo degli sceneggiati "lunghi" ricavati dai copioni dello scrittore inglese, cui seguirà una pausa che terrà il nome di Durbridge lontano dagli schermi della Rai in prima serata (repliche escluse) per quasi tre anni e mezzo, ma anche quando vi tornerà non sarà più la stessa cosa. D'altro canto anche nella stessa Inghilterra, gli sceneggiati televisivi di Durbridge si facevano sempre più rari. Dopo averne realizzati 16 tra il 1952 e il 1966, lo scrittore, dopo un intervallo durato ben cinque anni, nel decennio dal 1971 al 1979, quando chiuderà la sua carriera di autore televisivo per dedicarsi con maggior impegno al teatro, fornirà alla BBC solo tre copioni.
Per amor di precisione, va anche ricordato che tra il 1969 e il 1971, la BBC produsse, in collaborazione con la televisione tedesca, tre stagioni di una serie di telefilm intitolata "Paul Temple", con protagonista lo scrittore-detective, creato da Francis Durbridge per la radio circa trent'anni prima, ma ancora allora popolarissimo. Dei 52 episodi totali, la Rai ne trasmise solo tredici, in maniera peraltro molto discontinua tra l'ottobre del 1972 e il novembre del 1973, ma al di là della simpatia dei due protagonisti, Francis Matthews, nella parte di Paul Temple, e Ros Drinkwater, in quella della moglie Steve, i telefilm restavano molto distanti dalle tipiche storie di Durbridge. Questi infatti, aveva concesso solo lo sfruttamento dei suoi due personaggi e mai firmò nessuno degli episodi, né come sceneggiatore, né come soggettista.
Intanto il nuovo telegiallo, girato come di consueto in piena estate e presentato su tutti i giornali con il titolo di lavorazione "L'altro uomo" (traduzione fedele dell'originale "The Other Man" del 1956, il più vecchio copione di Durbridge mai realizzato in versione italiana), con la traduzione della solita fedelissima Franca Cancogni e l'adattamento di Biagio Proietti, fu affidato ad Alberto Negrin, un giovane alla sua prima regia di un giallo televisivo. Negrin che dirigerà negli anni a seguire opere importanti per la Rai, come "Il picciotto" nel 1973, debutto televisivo di Michele Placido come protagonista, "Majachowsky", 1976, "Io e il duce",1985, e il kolossal internazionale "Il segreto del Sahara", 1987, solo per citarne alcuni, aveva una formazione cinematografica e documentaristica e la utilizzerà in modo originale nella storia di Durbridge, realizzando di fatto più che uno sceneggiato, un vero e proprio film televisivo.
Ma riassumiamo prima per sommi capi la vicenda, che prende le mosse dal ritrovamento sull'Happy Time, una casa battello sulle rive del Tamigi, ad Hampton, ancora una volta una cittadina a pochi chilometri da Londra, di un cadavere dal volto sfigurato. Il corpo viene identificato per quello di Paolo Morani, uno scienziato italiano residente in Inghilterra. La barca sulla quale è stato rinvenuto appartiene ad un certo James Cooper, di cui però nessuno sembra avere notizie da parecchi giorni. Nell'interrogare le persone presenti quel giorno nelle vicinanze dell'Happy Time, l'ispettore Ford, un poliziotto vedovo che ha lasciato la grande città per trasferirsi insieme al figlio Roger in un posto più a sua misura, incontra Katherine Sheldon, la nipote del medico locale, in vacanza presso lo zio, che afferma di aver visto scendere dalla barca un uomo che si è poi allontanato su una macchina passata a prenderlo. La ragazza non sa chi sia ma ritiene di poterlo riconoscere se lo rivedesse. Ed è quanto accade, quando durante una partita a tennis con lo zio nel campus dell'università locale, riconosce nel professor David Henderson, stimato docente dell'ateneo, proprio l'uomo che ha visto scendere dall'Happy Time il giorno della scoperta del delitto. La dichiarazione della ragazza, molto sicura di sé, mette in grave imbarazzo l'ispettore Ford che ha con Henderson un grosso debito di gratitudine per aver consentito a suo figlio di accedere al college, grazie ad una borsa di studio, nonostante le loro precarie condizioni finanziarie. Ford all'inizio non vorrebbe crederci, ma gli indizi a carico del professore si accumulano sempre più e l'atteggiamento contraddittorio di questi che gli mente a più riprese non aiutano di certo. Coadiuvato fuori dall'ufficialità nelle indagini dal cognato Bob Marshall, ex poliziotto, ora datosi alla carriera di pubblicitario, ma che sembra non aver dimenticato il suo antico mestiere, Ford incontrerà altri personaggi, come la bella Billie Reynolds, che abita nel battello accanto, lo Xanadu, e che potrebbe aver visto molto, ma che per motivi suoi ha deciso di tenerlo per sé; Ralph Merson, il riccone locale, che per nascondere una sua relazione con la stessa Billie si confida in segreto con Ford; oltre all'ambizioso giornalista Robin Craven all'eterna ricerca dello scoop della vita. Alcuni nuovi delitti confonderanno ancora di più il già confusissimo ispettore, che se la dovrà vedere con intrighi internazionali e scontri tra organizzazioni spionistiche, ben lontani dal suo placido mondo di poliziotto di provincia.
Anche se come dicevo girato nell'estate del '72, la trasmissione del nuovo giallo che, abbandonato il titolo di lavorazione, fu ribattezzato, in omaggio al tema ricorrente del fiume su cui si svolge gran parte della vicenda, "Lungo il fiume e sull'acqua", venne posticipata al gennaio dell'anno dopo e andò in onda in cinque puntate, in appuntamento bisettimanale al sabato e martedì, dal 13 al 27 gennaio 1973. Nel cast, troviamo tra gli altri. Giampiero Albertini, perfetto nel ruolo dell'ispettore Ford, versione Biagio Proietti; Sergio Fantoni, come il professor Henderson; Laura Belli, come Katherine Sheldon; Renato De Carmine, come Bob Marshall; Francesco Carnelutti, come Robin Craven; Franco Graziosi, come Ralph Merson; e Nicoletta Machiavelli come Billie Reynolds. Nella parte di Roger, il figlio dell'ispettore Ford, troviamo poi un giovanissimo Daniele Formica, ancora lontano dall'immagine di attore comico e di cabaret che si sarebbe data negli anni seguenti.
Il copione di Durbridge, per altro piuttosto datato, essendo stato scritto circa un quindicennio prima, venne attualizzato ed ampliato da Proietti che, come in quelli precedenti, allungò scene e dialoghi, inserendo molti elementi che nel testo originale erano solo accennati, ricostruendo rapporti e parentele tra i personaggi, con l'aggiunta di morti e perfino di un ulteriore finale che smascherava negli ultimissimi istanti dell'ultima puntata il doppio gioco di un complice "nascosto" del colpevole, ribaltando completamente l'originale lieto fine di Durbridge.
Purtroppo uno sciopero dei tipografici, proprio nel periodo della trasmissione, che impedì un'uscita regolare dell'indispensabile Radiocorriere TV, distribuito per diversi numeri incompleto nei servizi e nell'impaginazione, rende oggi piuttosto lacunose le notizie intorno a questo sceneggiato. Non ci sono pertanto articoli ed interviste agli attori o al regista che lo confermino, ma mi pare di poter osservare che, probabilmente in ossequio al nuovo concetto di giallo che stava nascendo, stessero andando un po' a cadere tutte quelle cautele che erano state utilizzate in precedenza per proteggere il nome del colpevole da indiscrezioni. Anche se molti, ma non tutti, i nomi dei personaggi originali vennero cambiati, non si hanno infatti voci di tripli finali, o di copioni chiusi in casseforti ed estratti solo all'ultimo momento, nè tanto meno di funzionari addetti a sorvegliare le riprese. Questo non significa che non ci siano stati, forse lo sciopero cancellò i servizi che le avrebbero raccontate, ma è anche possibile che la cosa non suscitasse più la curiosità di una volta nella stampa. Anche i giornali stavano infatti mutando atteggiamento verso eventi televisivi che non avevano più la risonanza di un tempo. Non solo, erano anche cominciate su alcuni quotidiani campagne di aperta critica agli "sprechi" della tv di stato nella produzione di spettacoli, che fossero di varietà o di fiction, che costavano enormi quantità di denaro. I tempi stavano decisamente cambiando. Le reazioni di stupore quasi fanciullesco davanti alle sontuose scenografie ed alle esibizioni di lustrini e paillettes degli anni '50' e 60 entravano in archivio per sempre, lasciando il posto ad uno spirito più critico e perfino polemico da parte della stampa del settore. Nel campo degli sceneggiati, le critiche riguardavano anche le sempre più costose trasferte all'estero che, come abbiamo visto, in particolare nei gialli di Durbridge, erano diventate frequentissime. E ovviamente, in questo, "Lungo il fiume e sull'acqua" non faceva eccezione. Anzi, la regia molto cinematografica di Negrin usò con grande dovizia di mezzi i consueti esterni inglesi, da Londra a Liverpool, passando per la cittadina di Hampton sulla riva del Tamigi, a sud della capitale, dove vennero girate la maggior parte delle scene in esterno. Negrin utilizzò, inoltre, una tecnica molto innovativa all'epoca. Sfruttando la sua esperienza di documentarista e di regista di film-inchiesta fece un largo utilizzo di telecamera a mano, seguendo gli attori nelle strade, per i viali del campus, o i corridoi del college, in lunghi piani sequenza, e riprendendo in primissimo piano i volti dei protagonisti (soprattutto i bravissimi Fantoni e Albertini), scavando nei loro tratti le emozioni dei personaggi, soffermandovisi spesso anche quando a parlare erano i loro interlocutori, quasi a spiarne le reazioni.
Questa nuova e singolare tecnica di racconto televisivo spiazzò dapprincipio i telespettatori, abituati a metodi di ripresa più ortodossi, che finìrono comunque per premiare con ascolti record anche quest'ultimo giallo di Durbridge, che con una media di quasi ventuno milioni a puntata riuscì a portarsi addirittura al secondo posto della Top Ten dei programmi più seguiti del 1973. (Ma segnaliamo anche i diciasette milioni che seguirono la serie di telefilm "Paul Temple", e che fruttarono un più che rispettabile nono posto, portando il nome dello scrittore inglese per ben due volte in classifica nello stesso anno.)
Della colonna sonora, resta soprattutto nella memoria ancora oggi la bellissima "Vincent", canzone scritta ed eseguita da Don McLean, che sulle sue dolci note accompagnava le quasi poetiche immagini della sigla iniziale e quelle dei titoli di coda, entrata nelle orecchie e nei cuori della gente, al punto da conquistare per settimane la vetta della Hit-Parade; ma non sarebbe giusto dimenticare i molti affascinanti temi musicali composti da Roberto De Simone, studioso appassionato di musica folkloristica (non a caso fu tra i fondatori della Nuova Compagnia di Canto Popolare), ispirati ad antichi motivi tradizionali inglesi che riempivano di echi suggestivi la vicenda.

(7 - continua)




26/10/2013 15:06
 
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Un solo rilievo da fare, peraltro marginale rispetto all'argomento dell'articolo: l'adattamento di "A come Andromeda" mi sembra fosse di Inìsero Cremaschi.


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(L'ultimo samurai)
28/10/2013 11:14
 
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Hai ragione. Non avendo a disposizione i DVD dello sceneggiato, mi sono fidato dei dati disponibili sul sito di Rai Teche che assegnano l'adattamento a Franca Cancogni (dal che ho dedotto che fosse sua anche la traduzione) e la sceneggiatura ad Inisero Cremaschi e Vittorio Cottafavi. Ora ricontrollando meglio su Youtube ho visto che effettivamente nei titoli di testa l'adattamento è attribuito ad Inisero Cremaschi, senza ulteriori assegnazioni. Credo però che la verità sia più complessa: infatti nei titoli c'è scritto "di Fred Hoyle e John Elliot" rendendo chiaro che qui non siamo di fronte al romanzo, che sarebbe del solo Hoyle, ma alla sua versione televisiva, scritta appunto con John Elliot e trasmessa in Inghilterra nel 1961. (vedi anche su Wikipedia)Quindi ritengo che molto probabilmente la traduzione sia proprio di Franca Cancogni (anche se chissà perché non fu nominata nei titoli) e l'adattamento di Cremaschi.
Questa però è solo una deduzione, basata su un minimo di conoscenza di come funzionavano le cose nella Rai dell'epoca. Farò ricerche più approfondite sull'argomento, e se ritenete ancora di ripubblicare l'articolo nella sua integrità sul sito quando sarà finito, mi dedicherò alla correzione di questo ed altri errori nascosti qua e là. [SM=x520510]
[Modificato da a.scaglioni 28/10/2013 11:24]
28/10/2013 13:16
 
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Re:
a.scaglioni, 28/10/2013 11:14:

Farò ricerche più approfondite sull'argomento, e se ritenete ancora di ripubblicare l'articolo nella sua integrità sul sito quando sarà finito, mi dedicherò alla correzione di questo ed altri errori nascosti qua e là. [SM=x520510]



Sì, sarà pubblicato nella sua interezza [SM=x520510]




Ora VS ha il suo sito:


www.vicolostretto.net
--------------------------------
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Re:
a.scaglioni, 28/10/2013 11:14:

Hai ragione. Non avendo a disposizione i DVD dello sceneggiato, mi sono fidato dei dati disponibili sul sito di Rai Teche che assegnano l'adattamento a Franca Cancogni (dal che ho dedotto che fosse sua anche la traduzione) e la sceneggiatura ad Inisero Cremaschi e Vittorio Cottafavi. Ora ricontrollando meglio su Youtube ho visto che effettivamente nei titoli di testa l'adattamento è attribuito ad Inisero Cremaschi, senza ulteriori assegnazioni. Credo però che la verità sia più complessa: infatti nei titoli c'è scritto "di Fred Hoyle e John Elliot" rendendo chiaro che qui non siamo di fronte al romanzo, che sarebbe del solo Hoyle, ma alla sua versione televisiva, scritta appunto con John Elliot e trasmessa in Inghilterra nel 1961. (vedi anche su Wikipedia)Quindi ritengo che molto probabilmente la traduzione sia proprio di Franca Cancogni (anche se chissà perché non fu nominata nei titoli) e l'adattamento di Cremaschi.
[SM=x520510]


Mah, io ho dei dubbi che Franca Cancogni c'entri con "A come Andromeda": il romanzo, uscito in Italia nel '65, fu tradotto da Irene Bignardi; è molto improbabile (anche se non impossibile) che la Rai l'abbia fatto ri-tradurre ex novo. [SM=g27833]



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(L'ultimo samurai)
29/10/2013 12:24
 
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Come però ti spiegavo, lo sceneggiato italiano non è tratto dal romanzo, ma dalla sceneggiatura della versione televisiva inglese che porta le firme di Fred Hoyle e John Elliot, quindi non è affatto escludibile che la Cancogni l'abbia tradotta (proprio come faceva con i gialli di Durbridge). E d'altro canto il suo nome è presente sulla scheda relativa ad "A come Andromeda" nella lista di Rai Teche.
Notizie su questa versione inglese le puoi trovare sia su Wikipedia che a questo link:

curiosando708090.altervista.org/a-come-andromeda-sceneggiato-...

Eccoti comunque la scheda dello sceneggiato presa da Rai Teche:

A come Andromeda (1972) di Fred Hoyle - John Elliot
Adattamento: Franca Cancogni
Sceneggiatura: Inisero Cremaschi - Vittorio Cottafavi
Regia: Vittorio Cottafavi
Cast: Luigi Vannucchi - Paola Pitagora - Nicoletta Rizzi - Tino Carraro - Mario Piave - Enzo Tarascio - Giampiero Albertini - Gabriella Giacobbe
Puntate: 5
Rete: Nazionale
Data: 04/01/1972 - 01/02/1972
29/10/2013 21:45
 
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Guardiano del faro
Può darsi che la Cancogni abbia tradotto la sceneggiatura originale, ma allora perché non citarla nei titoli di testa? Io propendo cautamente per l'ipotesi che Cremaschi, lavorando all'adattamento, abbia tenuto sottomano il romanzo tradotto da Irene Bignardi, anche perché ogni tanto qualche frase è identica. In ogni caso, la scheda di Rai Teche non è corretta: la Cancogni può aver tradotto dall'inglese, ma l'adattamento è di Cremaschi. Quanto alla versione originale dello sceneggiato (o meglio, a quello che ne resta), penso di saperne già qualcosa: ho il cofanetto BBC che comprende anche il seguito, "The Andromeda Breakthrough" (ne feci una recensione tempo fa, nel topic dedicato allo sceneggiato). [SM=x520563]


- Pensi che un uomo possa cambiare il suo destino?
- Penso che un uomo fa quello che può, finché il suo destino non si rivela.
(L'ultimo samurai)
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