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Il Segno del Comando - di Daniele D'Anza - con Ugo Pagliai, Carla Gravina, Franco Volpi

Ultimo Aggiornamento: 24/05/2021 08:57
29/03/2015 18:50
 
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Re: Re:
Tidus forever, 29/03/2015 13:12:



Beh...ci lasci così? [SM=x520495]
Attendo devotamente tue news.... [SM=x520503]

[SM=x520499]







Effettivamente... grande Roberto! [SM=g27823]


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"Si te riconosco me meni, se nun te riconosco me meni... allora dillo che me voi menà!!!"
Bombolo
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29/03/2015 20:30
 
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Ricordo che nel breve periodo in cui fu attivo il sito dedicato al SDC, ricevetti diverse telefonate, tra cui qualche schizofrenico/a che si spacciava da Tagliaferri o da Lucia, ma anche di un frate (ebbene si, francescano, se non ricordo male) che mi disse che anche lui aveva parlato con D'Agata e che era rimasto vago su alcune domande che gli aveva posto (sempre se non ricordo male) riguardo ad un vero ufficiale nazista che ricordava in maniera troppo precisa, per essere una coincidenza, la figura di Von Hessel.
Insomma, in poche parole, D'Agata diede l'impressione di non essere poi il vero artefice della sceneggiatura.
Mah... che dire?
[SM=x520504]


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30/03/2015 15:04
 
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Re:
Tidus forever, 14/09/2004 15:41:

Tutti gli aspetti della quinta ed ultima puntata: parte prima

La "maledizione" di Brandani, poco prima di morire, è il giuramento di reincarnarsi ogni 100 anni in un uomo e ritrovare il medaglione...



La domanda sorge spontanea: perchè reincarnarsi forzatamente ogni 100 anni? [SM=g27833] Chi o cosa stabilisce il limite temporale? [SM=x520499]




[Modificato da Tidus forever 30/03/2015 15:06]


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"Notte, ore 11 - Esperienza indimenticabile...luogo meraviglioso...piazza con rudere di tempio romano...chiesa rinascimentale...fontana con delfini...messaggero di pietra...musica celestiale...tenebrose presenze"
"Ricordo ancora notte indimenticabile in casa di O. Che io possa essere dannato se accetto di nuovo un suo invito"
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30/03/2015 20:40
 
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Re:
Ragno Nero, 29/03/2015 20:30:

Ricordo che nel breve periodo in cui fu attivo il sito dedicato al SDC, ricevetti diverse telefonate, tra cui qualche schizofrenico/a che si spacciava da Tagliaferri o da Lucia, ma anche di un frate (ebbene si, francescano, se non ricordo male) che mi disse che anche lui aveva parlato con D'Agata e che era rimasto vago su alcune domande che gli aveva posto (sempre se non ricordo male) riguardo ad un vero ufficiale nazista che ricordava in maniera troppo precisa, per essere una coincidenza, la figura di Von Hessel.
Insomma, in poche parole, D'Agata diede l'impressione di non essere poi il vero artefice della sceneggiatura.
Mah... che dire?
[SM=x520504]



ehh..questo sì che è interessante, ma non ricordi altro?


30/03/2015 21:46
 
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Boh... di mitomani ne ho sentiti diversi, come dicevo, magari anche il frate, chissà... però non ricordo altro. [SM=x520491]


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Il sindaco del mio paese si chiama Giuseppe Brandani, devo preoccuparmi ? [SM=x520515]
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Re: Re: Re:
Ragno Nero, 29/03/2015 18:50:



Effettivamente... grande Roberto! [SM=g27823]




Ragazzi, che devo dirvi?
La mia potrà sembrarvi una variante della storia del manoscritto ritrovato a Saragoza, ma è incredibilmente vera.
Alcuni di voi forse sanno o ricordano che, tra i miei troppi vizi, ve n'è uno assolutamente inguaribile, che probabilmente sarò destinato a portarmi appresso per il resto dei miei anni: la bibliofilia. Sembra anche questo uno scherzo (e due!), ma si tratta di un fenomeno che assume i tratti della più devastante delle patologie, perché dinanzi ad un pezzo di carta proprio non resisto: devo valutarne il formato, la grammatura e il tipo di carta (pergamena, carta di stracci, carta industriale etc.), la coperta, i caratteri, l'editore (se si tratta di opera a stampa), la "freschezza" delle carte (sempre potenzialmente esposte, nel caso di volumi antichi, a muffe, gore, rosicchiature, segni di tarli, mutilazioni, alterazioni più o meno intenzionali, restauri più o meno frettolosi), la legatura, finanche l'odore (ed io sono tra i bibliofili il meno feticista in tal senso) e poi finalmente il contenuto (autore, titolo, edizione, opera). Insomma, il bibliofilo è una bestia (sempre più) rara, per via di queste nuove tecnologie, ma è anche onnivoro: non si accontenta delle carte e dei volumi che ha, ne vuole sempre di nuove, sempre più, sino a quando scoppia, lui o la casa in cui abita o la famiglia che abita con lui.
Questo, e molto peggio ancora, è il bibliofilo, e questo sono io.
Uno come me è, purtroppo, sempre in astinenza da carta, e non perde occasione di cercare, frugare, rovistare, non importa se tra archivi e librerie di parenti, amici o sconosciuti, come librai, rigattieri, antiquari o vaghi mercanti di carte.
E' iniziata così la storia, in una domenica banale illuminata da un pigro sole invernale, con le mie mani a frugare quasi disperatamente tra le carte di un rigattiere in piazza Augusto Imperatore a Roma. Nulla di che, intendiamoci: questi venditori di carta si sono fatti furbi, e le chicche, le ghiottonerie bibliofile le vendono a loro volta agli antiquari propriamente detti, o tutt'al più le mettono in asta su e-bay. Della serie: come la tecnologia perpetua stili antichi.
Ma evidentemente d'importanza quel cartafaccio ne aveva davvero poca, almeno per il venditore, e, prima di lui, per il proprietario. Figuratevi che si trattava di un mazzo di carte indisciplinate, infilate alla bell'e meglio in una cartellina stinta e tutta piena di gore di umidità. L'aspetto dell'involto era terribile a vedersi: la cartellina stinta da quattro soldi, le carte buttate dentro alla rinfusa (chissà quante volte saranno state estratte e, dopo abbondante delusione, rimesse dentro con disappunto o forse con rabbia), molti lembi tagliati o strappati, e alcune carte quasi illeggibili.
Eppure il bibliofilo sente l'usta dell'affare (che è tale solo per lui) come un cane da fiuto, e sa per esperienza che più sono malconce più le vecchie carte possono rivelarsi interessanti, almeno ai suoi occhi oramai resi opachi dalla mania che lo anima.
La cartellina m'interessava poco, mentre più di tutto m'incuriosivano quei frammenti di vita che raccoglieva: non erano né documenti di fonte pubblica, né corrispondenza. Si trattava piuttosto di appunti, di note, o forse di bozze di una corrispondenza mai inoltrata, scritte com'erano in un carattere minuto, all'apparenza ostile, rivelante un italiano non pulitissimo, non limpido, l'italiano di uno straniero colto ma non madrelingua.
Fui attratto, più di ogni cosa, da una data, che troneggiava sopra un foglio: 1771. Ma né il foglio e neppure la scrittura erano coerenti con tale indicazione. Un falso, dunque? No, sembrava piuttosto un'indicazione non casuale, riferita ad un remoto contenuto che nell'immediato non si percepiva.
Che cosa fare, allora? Rischiare i miei soldi per qualcosa che potenzialmente non aveva alcun valore? Fermarsi ad approfondire (col rischio, però, d'insospettire il venditore, che così avrebbe chiesto più danaro)? Fingere disinteresse e continuare la passeggiata per poi tornare (col rischio che qualcun altro nel mentre si appropriasse del manoscritto)?
Con questi dubbi chiesi intanto informazioni sulla provenienza dell'incarto al venditore. In genere questi personaggi sono molto cauti, anche perché a volte non possono o non sanno dare giustificazioni adeguate, ma questi mi soppesò un attimo con la coda dell'occhio, e poi, senza guardarmi in faccia, mentre interloquiva con una altro astante, mi disse di sfuggita: "Mah! Che vuole che le dica? Uno studioso di storia o di letteratura, o qualcosa del genere, perché vede qui? -Mi indicò una carta tutta spiegazzata e macchiata d'inchiostro- c'è scritto "Atanor". Ora -continuò l'individuo- è una delle poche cose che si legge bene, ed io penso che nessuno meno di un uomo colto e un po' vagante si sarebbe attardato su questo termine.

"Nessuno meno di un uomo colto e un po' vagante": la definizione mi piaceva, anche perché mi dava l'idea dello studioso perso tra i suoi pensieri, tutto concentrato ad inseguire i suoi disegni.
In quel momento seppi che avrei comprato quelle carte!

(continua?)

[Modificato da Roberto@C 31/03/2015 20:41]


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
01/04/2015 13:17
 
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Mavaffffffff!!
Re: Re: Re: Re:
Roberto@C, 31/03/2015 20:34:




(continua?)




Mah...non so....sono incerto....... [SM=x520490]

Secondo te? [SM=x520496] [SM=x520505]

Se non vuoi che venga a Roma per dar fuoco con lo Zippo alla tua collezione di carte pregiate, prosegui il racconto, con dovizia di particolari [SM=x520495]

[SM=x520499]








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01/04/2015 20:49
 
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Cedo al ricatto!
Detto e fatto, ma solo per modo di dire, perché proprio quando mi ero convinto all’aquisto arrivò un tale tutto intabarrato e semi-nascosto da un paio di pesantissime lenti che gli cadevano sul naso, che s’intromise nella trattativa, dicendo d’essere molto interessato al fascicolo.
Quell’uomo mi ricordava qualcuno, in effetti, anche se non riuscivo a focalizzare il ricordo: forse un “competitore” già affrontato su altre arene libresche, oppure uno studioso? Qualcosa nella cadenza e forse nella complessione mi facevano propendere per questa seconda ipotesi. Avrei quindi potuto conoscerlo in una biblioteca o in un archivio di Stato, luoghi in cui tuttora mi attardo a detrimento del lavoro e con disappunto di chi si accompagna a me, oppure in un archivio privato.
Eppure qualcosa non quadrava, e stonava con l’idea dello studioso: l’abbigliamento lasciava trasparire un uomo alto e canuto, dalle spalle curve, direi sull’ottantina e forse più, ma giovane nello spirito, con un inusuale lampo negli occhi velati dalle lenti. Un uomo molto distinto, e senza borse o carte sotto il braccio (tipiche degli studiosi di strada, per così dire), con abiti di ottimo taglio e scarpe ineccepibili. No, forse uno studioso no, o quantomeno non del giro di quelli stradaioli, che frequentano rigattieri e venditori estemporanei, che compromettono la pensione per un’informazione, che pagano a rate libri e archivi di cui non si approprieranno mai perché non faranno in tempo a saldare il conto.
Si accese una piccola ma garbata discussione, in cui notai il tono molto impostato della voce dell’uomo, e di tutto questo molto si avvantaggiò il venditore che, inizialmente sicuro di liberarsi di quella carta-straccia per un piatto di lenticchie, ora già accarezzava mentalmente il numero di banconote da cento che avrebbe avidamente infilato nei pantaloni.
Oggetto della discussione era in un certo senso il diritto di primazia sull’incartamento: l’ignoto competitore sosteneva d’essere passato prima di me (e ovviamente il venditore confermò) e si offrì di pagare una cifra piuttosto considerevole, tra un colpo di tosse e l’altro. Ma il mio avversario aveva modi alquanto distinti, e quando feci presente che stavo per l’appunto per concludere, che la cosa era fatta, e che non mi restava che pagare, si rivolse con fare interrogativo al rigattiere, il quale, chiesto allo studioso quale fosse la cifra massima che avrebbe pagato, si rivolse a me per chiedermi se la confermavo. Il che fu un duro colpo per me, perché si trattava veramente di una somma considerevole e sproporzionata all’acquisto.
Comprare o non comprare?
Attimi lunghi un’eternità, in cui consumai con gli occhi la mia improbabile sfida all’OK Corral contro i due personaggi, e in quell’eternità chiusa in pochi secondi mi chiesi seriamente se non fosse il caso di lasciar perdere. In fondo le carte le avevo viste solo distrattamente, si comprendevano a stento ed erano decisamente moderne, senza dubbio della seconda metà del secolo scorso. Nulla di allettante, ma allora perché il mio distinto avversario le bramava tanto?
A risolvere la questione, sempre in quella strana eternità condensata negli attimi di uno scambio di sguardi, fu un particolare probabilmente insignificante: notai, infatti, che lo studioso nascondeva sotto il cappotto una camicia cifrata, di cui colsi non so come le iniziali in bellissima grafia svolazzante: “R.A.”. Mi ricordavano qualcosa, ma cosa?
Lo confesso: pagai le carte più per avere la meglio su un rivale insospettabile, che dietro quelle lenti e quel cappotto celava assai più di quanto non s’intuisse, e con la segreta speranza di conoscerlo meglio proprio grazie a quell’evento. Egli rimase impassibile e, anzi, si complimentò perfino con me: “Lo sa che ha fatto proprio un bell’acquisto? –disse con voce calma, che tradiva una certa emozione- Eppure mi consenta di dirle che ha avuto la meglio perché non sono certissimo che siano proprio le carte che inseguo”.
“Ebbene –risposi in modo fermo e con pari educazione- sarei davvero scortese se non le consentissi di esaminarle...”

(continua)


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Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
01/04/2015 23:25
 
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Roberto@C, scusa se te lo dico ma quel tizio che rivaleggiava con te
per l'acquisto dell'incartamento secondo me era un complice del venditore.

[SM=x520513] [SM=x520505]


02/04/2015 00:25
 
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Re:
ba1ba2, 01/04/2015 23:25:

Roberto@C, scusa se te lo dico ma quel tizio che rivaleggiava con te
per l'acquisto dell'incartamento secondo me era un complice del venditore.

[SM=x520513] [SM=x520505]






Eh, beh, ora che mi ci fai pensare...


[SM=x520504] [SM=x520505] [SM=x520497]
[Modificato da Roberto@C 02/04/2015 00:29]


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

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02/04/2015 11:25
 
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R.A.? Vabbè... Raimondo Anchisi!!! [SM=g27823]


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02/04/2015 13:21
 
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Mavaffffffff!!
Re:
Ragno Nero, 02/04/2015 11:25:

R.A.? Vabbè... Raimondo Anchisi!!! [SM=g27823]



[SM=x520490] [SM=x520490] [SM=x520490] [SM=x520490] [SM=x520490]

....ma anche Raniero.... [SM=x520495] [SM=x520499]




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02/04/2015 13:26
 
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Re: Cedo al ricatto!
Roberto@C, 01/04/2015 20:49:

“Lo sa che ha fatto proprio un bell’acquisto? –disse con voce calma, che tradiva una certa emozione- Eppure mi consenta di dirle che ha avuto la meglio perché non sono certissimo che siano proprio le carte che inseguo”.
“Ebbene –risposi in modo fermo e con pari educazione- sarei davvero scortese se non le consentissi di esaminarle...”

(continua)



Grande, Roberto! [SM=x520571]
Così si fa!....deciso!...all'arma bianca!.... [SM=x520561]
Non so quanto tu abbia speso, ma vuoi mettere la soddisfazione? [SM=x520505]

Devotamente attendo il seguito di questa appassionante storia.

[SM=x520499]




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02/04/2015 13:29
 
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Re:
ba1ba2, 01/04/2015 23:25:

Roberto@C, scusa se te lo dico ma quel tizio che rivaleggiava con te
per l'acquisto dell'incartamento secondo me era un complice del venditore.

[SM=x520513] [SM=x520505]





[SM=x520495] [SM=x520495] [SM=x520495]

[SM=x520499]





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L’uomo mi guardò con una certa fissità dello sguardo, dietro il quale in realtà si nascondeva l’affannosa ricerca di una soluzione.
“In altri tempi –mi disse con voce calma e studiata, abbassandone il tono- le avrei chiesto di proseguire la conversazione nella mia umile dimora, che gli antenati hanno avuto la bontà di lasciarmi ma che io ho avuto il cattivo gusto di deperire, tuttavia lo studio è ancora mio, e, anzi, si può dire che lì vi sia tutto il mio mondo.”
“Bene –risposi incuriosito- con chi ho il piacere di...”. “Non ha importanza –m’interruppe in modo quasi sbrigativo- non ora almeno: non mi prenda per maleducato, ma preferisco contattarla io. A suo tempo e luogo faremo le presentazioni”.
Strana storia davvero. Le carte interessavano più al mio interlocutore che a me, eppure proprio lui rinunciava ad esaminarle e ad esporsi.
Dopo avergli comunicato i miei recapiti tornai alle mie cose, e così passarono i giorni e le settimane senza quasi che mi ricordassi d’avere quei documenti. Anzi, devo dire che m’infastidiva il loro ricordo perché mi faceva tornare alla mente quello che ormai giudicavo un pessimo affare, fatto d’istinto e senza un vero interesse.
Ma le carte c’erano, e vagavano sulla mia scrivania, così che una strana sera in cui mi trovavo da solo in casa, nella penombra del mio studio e con la mente quanto più distante da qualunque pensiero pratico ricevetti una telefonata anonima e silenziosa. Sarà stata la cupezza delle ombre notturne, di una notte senza luna, che accarezzava la finestra della mia stanza, complice la solitudine e l’impressione per quel vuoto telefonico al cui fondo avevo percepito un tenue respiro umano, ma fu allora che le mie mani si posarono sull’involto.
I fogli ancora stropicciati erano raccolti in una cartella azzurrina tutta gualcita e macchiata. Su di essa si leggeva appena, ma con difficoltà: “ ... del soggiorno ... per Byron alla luce di ...”.
Distesi con cura le carte e scoprii che solo alcune potevano dirsi, almeno ad una prima impressione, del secolo scorso, mentre altre erano certamente vecchie di due o tre secoli. La cosa più difficile fu stabilire una sequenza tra di esse, ma ci misi poco a concludere che non erano affatto legate le une alle altre. C’erano sicuramente delle annotazioni molto personali, forse stese di getto, che erano state tolte da un diario o da un blocco, e poi delle carte sciolte, che forse erano richiamate dagli appunti. L’esame non mi consentì di appurare nell’immediatezza l’identità del ricercatore, perché certamente doveva trattarsi dei rimasugli di un qualche lavoro scientifico, finiti chissà come nelle mani del libraio.
Mi attirò soprattutto uno schizzo chinato su un mezzo foglio certamente ottocentesco. Raffigurava un rapace immobile su un ramo, probabilmente una civetta, con occhi e becco perfettamente atteggiati verso lo sguardo dell’osservatore. Le mie sbiadite reminiscenze di filosofia tedesca mi fecero tornare alla mente lo Hegel, e per associazione d’idee pensai alla nottola di Minerva.
Mentre il cielo scuro borbottava sempre più sonoramente preannunciando così un imminente scroscio d’acqua, raggruppai i fogli secondo il verosimile periodo della loro redazione, e mi concentrai su quelli che potrei dire novecenteschi.

“Insomma, nonostante il gran discutere di questi ultimi tempi –è il documento a parlare- il vero motivo per cui Lord Byron si fermò a Roma resta oscuro a tutti. Certo è nota, ma solo ad alcuni, la sua “famosa” esperienza paranormale, i suoi rapporti (casuali o voluti?) con l’occultista ... e forse con ..., ma nessuno ha riflettuto sul senso profondo della sua presenza nella capitale dello stato pontificio. Lo scrittore era tormentato da alcuni scandali che in effetti l’avevano costretto a lasciare la madre-patria, e si può dire che, dopo il Congresso di Vienna, Roma non fosse davvero il posto più adatto ad uno come lui, che peraltro di lì a poco non avrebbe tardato ad entrare nella carboneria. Si può dire, anzi, che il re-insediamento di Pio VII sul soglio pontificio, ed in particolare alcuni suoi provvedimenti come la ricostituzione dei gesuiti, dell’Indice e dell’Inquisizione romana, avrebbero dovuto tenerlo a debita distanza dalle rive del Tevere. E dunque come giustificare la sua presenza contro ogni logica? Quale fu la reale attrattiva del suolo romano? ... mi scrive che sarebbe stato Schelling a raccomandare a Byron di parlare con ... perché lui stesso vi aveva trovato ispirazione. Possibile? ... rifiuta di dirmi la fonte ma in effetti Schelling alla fine degli anni Dieci ebbe una lunga crisi intellettuale, anche se la maggior parte degli studiosi la interpretano come un estraniamento creativo. Schelling e Byron, ognuno per motivi diversi dall’altro, avrebbero cercato qualcosa che solo a Roma si poteva trovare?”.

La pagina finiva così, con la maggior parte dei nomi nel testo cancellati o piuttosto censurati, forse da mano diversa, e con un cumulo di interrogativi. I margini erano pieni di minuscole note, postille, ripensamenti tormentati che però non si leggevano tanto erano guasti.
La nottola della Minerva, Schelling, Byron... chissà che ne avrebbero detto –pensai a voce alta- i varii Bollini, Guardamagna e D’Agata, che alla fine degli anni Sessanta costruirono quella bella storia per la televisione italiana.
Già, alcuni ingredienti della vicenda sembravano proprio gli stessi, ma questi appunti erano indubbiamente altrettanto veri, e a quanto pare raccontavano un’altra storia.
In quel medesimo momento di grande concentrazione, proprio mentre la fragorosa esplosione di un tuono annunciava l’inizio di una tormenta di pioggia, nell’improvviso tremolio del lume, reso incerto dal boato, squillò nuovamente il telefono.

(continua)
[Modificato da Roberto@C 02/04/2015 20:39]


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
02/04/2015 21:14
 
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Mavaffffffff!!
Re:
Roberto@C, 02/04/2015 20:20:



In quel medesimo momento di grande concentrazione, proprio mentre la fragorosa esplosione di un tuono annunciava l’inizio di una tormenta di pioggia, nell’improvviso tremolio del lume, reso incerto dal boato, squillò nuovamente il telefono.

(continua)



Roberto, non ho parole! [SM=x520488]
Narrazione splendida ed atmosfere evocative [SM=x520506]

Quanto a quel "carteggio".....mi sa che più di qualcuno ti potrebbe rispondere:



[SM=x520499]




[Modificato da Tidus forever 02/04/2015 21:16]


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"Notte, ore 11 - Esperienza indimenticabile...luogo meraviglioso...piazza con rudere di tempio romano...chiesa rinascimentale...fontana con delfini...messaggero di pietra...musica celestiale...tenebrose presenze"
"Ricordo ancora notte indimenticabile in casa di O. Che io possa essere dannato se accetto di nuovo un suo invito"
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02/04/2015 22:47
 
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[SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491] Strabiliante...


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"Si te riconosco me meni, se nun te riconosco me meni... allora dillo che me voi menà!!!"
Bombolo
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03/04/2015 19:55
 
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Io non posso che ringraziarvi per i vostri lusinghieri commenti, e a questo punto credo che il modo migliore di farlo sia quello di continuare a raccontare la vicenda così come si è svolta [SM=x520502]

Non vi nascondo che raccontare non mi è così semplice (anche se almeno una puntata l'ho letteralmente scritta di getto) perché il ricordo è assai difficile [SM=x520564]

Chissà, forse si potrebbe pensare ad un progetto comune, una specie di apposito contenitore o sezione o pagina o quello che volete, fatto di contributi di tutti, per ricordare quella straordinaria pagina della storia della televisione pubblica scritta da D'Agata e compagnia.

[SM=x520497]


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
03/04/2015 19:56
 
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Dall’altra parte del cavo era una voce sottile, lontana, direi perfino sbiadita al punto tale che si forzava a parlare, quasi sorgesse dal nulla, tant’è che stentai non poco a riconoscerla.
“Non me ne voglia se vado subito al dunque, ma ha ancora le carte di piazza Augusto Imperatore?”. Ebbi un attimo di esitazione, raggelato e dalla sbrigatività del mio interlocutore e dal crepitio dei tuoni, che tessevano nel cielo plumbeo una specie di rete a maglie fitte, che pareva volersi abbattere progressivamente ma lentamente sulla città. Ma non appena fui scosso da un refolo gelido, che si era intromesso nella mia stanza spinto a viva forza dalla pressione esterna, e che mi ghermì nel breve di un istante, fui capace di pasticciare una risposta: “Sì, certo che ho le carte. Le ho comprate per tenerle e non per disfarmene”.
“Bene –annuì l’altro con una voce che la buona notizia aveva reso in qualche modo più corposa, più densa, in un certo senso più materiale- e...le ha tutte?”
“Cosa significa tutte? Perché, quante devono essere?”
“Non importa, non importa. Ora mi stia a sentire: ho bisogno di vedere quelle carte subito, è di vitale importanza per me”.
Non sapevo se sorridere o risentirmi a quelle parole. Per settimane l’uomo delle carte (lo chiamerò così sino a quando non ne conoscerò il nome) era rimasto nel silenzio più assoluto ed ora, in queste particolari circostanze metereologiche, affettava un’urgenza inspiegabile.
L’eccezionalità della cosa m’indusse evidentemente un comportamento altrettanto insolito, perché invece di tagliare corto cercai di spiegargli le ragioni pratiche per cui ora sarebbe stato impraticabile, per me, portargli le carte oppure riceverlo.
“Venire da lei? –tagliò corto prendendo le mie parole alla lettera- Oh, no: questo mi sarebbe proprio impossibile, mi creda. Dovrebbe portarmele lei, qui e ora”.
La vicenda era decisamente paradossaale: i documenti interessavano il mio interlocutore eppure aveva lasciato che li prendessi io, e poi, respinto il mio invito a mostrarglieli, era letteralmente sparito nel nulla; inoltre, benché essi non avessero suscitato in me alcuna curiosità, proprio quella sera avevo deciso di esaminarli, ed ora lui riemergeva come un lumino nell’oscurità per rivendicare un improbabile diritto che si poneva molto al di là di qualunque cortesia.
Ma tutto questo non mi aiutò a trovare la forza di oppormi convintamente alla sua assurda richiesta. “Senta, ma non vede che tempo c’è fuori? Diluvia!”
“Sì...lo sento –la voce aveva ripreso come a sibilare e calava di tono, quasi a volersi confondere col mormorio della pioggia che si abbatteva sui vetri- ma è per l’appunto proprio ora che ho bisogno di quelle carte...proprio ora”.
Qualcosa di questa risposta mi toccò nel profondo, perché l’intonazione della voce, ora del tutto irriconoscibile, lasciava quasi trasparire una raggelante disperazione. Ripresi meccanicamente i fogli in mano, mentre tenevo la cornetta tra la testa e la spalla, e adocchiai mentalmente un frammento a caso che emergeva da una pagina slavata e quasi completamente illeggibile, di cui colsi queste parole: “è chiaro, quindi, perché l’abate di S. Giovanni a Carbonara, avendo fatto buona lezione di quel che aveva appreso da Vincenzo di Sangro, figlio del più famoso Principe di Sansevero, aveva comunicato a Byron l’esistenza della chiave. Ma è anche indiscutibile che non gli avrebbe mai rivelato un simile segreto se non avesse giudicato il Byron come persona fidata e iniziata. Del resto, se è vero quello che scrive il Chacornac nel 1926 a proposito di Éliphas Levi, questi avrebbe saputo della circostanza proprio dalla viva voce dell’abate, il suo antico maestro. E questa è una storia parallela nella biografia byroniana che nessuno conosce, o che, forse, nessuno ammette di conoscere...”
Ripetevo tra me e me quelle parole che stentavo a capire: Byron un iniziato? È per questo che si trovava a Roma? Ma allora l’esperienza paranormale non poteva considerarsi casuale!
Quasi intorpidito dal testo, che evocava nella mia mente le suggestioni di quello sceneggiato che avevo avuto la fortuna di vedere da bambino, mi accorsi con una certa sorpresa, e non so neppure dire dopo quanto tempo, che l’uomo delle carte non parlava più, ma emetteva una specie di lungo rantolio, che forse era un respiro spezzato.
“Senta, ma è ancora lì? Sta male?”
Il rantolio continuò lungo un istante infinito, quasi collocandosi in una condizione di sospensione rotta solo dal crepitìo dei tuoni e dall’impressionante lumeggiare dei lampi, per poi riprendere forma di voce umana: “Sto bene. Le carte, devo vederle...ora”.
Dal vetro della finestra irruppe nella stanza semi-buia la fiammata di un lampo, che mi fece trasalire. In effetti non mi ero accorto di un’altra cosa: la luce era andata via, probabilmente a causa della debolezza di qualche centralina sotto il fortunale, e l’unico chiarore di cui ancora disponevo era quello del cellulare, che spandeva sulla scrivania la sua luce fredda e innaturale, che in effetti illuminava solo il fascicolo.
“Credo...penso che questi documenti non possano essere così rilevanti per uno studioso come lei –provai a dissuaderlo- perché a tratti non si leggono, e poi sono privi di firme: parole al vento insomma”
“Questo –sussultò in un inaspettato impeto l’uomo delle carte- lasci giudicarlo a me. Le firme sono tracce di nebbia al sorgere del sole quando sono i contenuti a parlare della loro identità”.
“Non sono sicuro di capire”.
Seguì un attimo di silenzio, quasi che dall’altra parte si raccogliessero le forze, e poi la voce riprese: “Cerchi, cerchi bene nel diario, tra gli appunti: c’è una pagina che inizia con le parole ‘mai avrei pensato di dover mettere in relazione la fuga di Byron dall’isola con l’abate...”
Sfogliai le pagine rumorosamente, cercando con avidità di sfruttare la poca luce a disposizione. Nel mentre i vetri parvero quasi inarcarsi per la pressione esterna, sicché nel riprendere la loro posizione emisero un sibilo stridulo, che per quanto sgradevole riusciva ad imporsi sul sottofondo temporalesco.
“Sì, sì, ha ragione, l’ho trovata, e porta una data!”
“Quale data?”
“Non leggo l’anno, sembra cancellato: ma del resto altre pagine sono piene di cancellature”.
“Quale data?”, ripetè quasi meccanicamente il mio interlocutore.
“Leggo il numero 28, dev’essere il giorno, e accanto probabilmente c’è scritto Aprile”.
Avvertii un altro respiro forte, un raccogliere le energie: “Nella seconda metà del foglio c’è un disegno vero? E poi che c’è scritto?”
Il disegno c’era, e ricordava lo stile della nottola di Minerva. Era certamente ricopiato da un originale più antico, e raffigurava un uomo con qualcosa in mano, che una gora rendeva indefinita, accostato ad una struttura geometrica che ricordava vagamente un camino.
“Sotto si legge una specie di monito: ‘Nessuno ignori che tutta l’utilità della chiave consiste in se stessa’. Ma che cosa significa?”
“Io mi trovo in una situazione in cui il chiedere, per quanto penoso e alieno dalla mia natura, mi è necessario –riprese tutto d’un fiato l’uomo delle carte-, per cui devo insistere per vedere quei fogli”.
Chi ha mai sentito parlare di fascinazione potrà forse avere un’idea del motivo per il quale, quasi svuotato di una mia volontà, feci l’unica cosa che non avrei mai voluto fare, e mi lasciai inghiottire dalla tempesta d’acqua che infuriava indisturbata nel buio della notte.

(continua)
[Modificato da Roberto@C 03/04/2015 20:04]


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Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
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