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Il Segno del Comando - di Daniele D'Anza - con Ugo Pagliai, Carla Gravina, Franco Volpi

Ultimo Aggiornamento: 24/05/2021 08:57
03/04/2015 20:20
 
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Un frate francescano (boh..non ricordo con precisione...forse era un mitomane o uno schizofrenico, forse non era neppure un frate) racconta di aver interrogato l'autore di SDC sulla figura di Von Hessel che gli ricordava “in maniera troppo precisa per essere una coincidenza” quella di un ufficiale nazista realmente esistito.
Secondo il giornalista francese Christian Bernadec quel 13 marzo del 1939, assiderato sul picco del Wilder Kaiser nel Tirolo austriaco, a duemila metri di quota e a circa quaranta chilometri in linea d'aria dal Berchtesgaden (il nido dell'aquila di Hitler) non fu ritrovato il cadavere di Otto Rahn, forse, non fu ritrovato alcun cadavere.
La sua salma non risulta tumulata in alcun cimitero e l'annuncio della morte dell'Obersturmführer Otto Rahn, viene fatto pubblicare dal generale delle SS Karl Wolff, suo diretto superiore, sul Volkischer Beobachter, il giornale ufficiale del partito nazista, soltanto il 18 maggio. Poco prima della sua supposta morte in una tormenta alpina, Otto Rahn aveva chiesto ed ottenuto il congedo dalle SS.
Nel febbraio del 1944 il generale Karl Wolff – amico e protettore di Otto Rahn che probabilmente conosceva da prima del suo ingresso nelle SS - fu inviato in Italia con la carica di governatore militare e comandante in capo delle SS nel Nord Italia. Tra il marzo e l'aprile del 1945, all'insaputa di Hitler ma in accordo con Himmler, comandante supremo delle SS, trattò con Allen Dulles, il direttore dei servizi segreti americani (Oss) in Europa nonché futuro capo della Cia, la resa delle truppe tedesche in Italia che avvenne pochi giorni prima della resa della Germania. Arrestato e processato a Norimberga, Karl Wolff fu uno dei pochissimi ufficiali superiori tedeschi a conservare grado e decorazioni e fu rilasciato nel 1949 senza essere stato incriminato nonostante che fosse uno dei due alti gradi delle SS sopravvissuti alla guerra (l'altro, il Gruppenfuhrer Ernst Kaltenbrunner fu condannato e giustiziato a Norimberga) e nonostante l'esistenza di numerosi filmati di propaganda nazista in cui compariva al fianco di Himmler finanche nel corso di un'ispezione ad un campo di concentramento, tanto che nel 1962, nuovamente processato stavolta da un tribunale tedesco, fu riconociuto colpevole della deportazione di 300.000 ebrei a Treblinka e di quella degli ebrei italiani ad Auschwitz e condannato a 15 anni di reclusione (di cui ne scontò meno della metà). E' quasi superfluo osservare che molti ufficiali tedeschi sono stati condannati a morte per crimini di guerra e contro l'umanità per molto meno.

Nell'agosto del 1943 un certo Rudolf Rahn fu inviato a Roma come ambasciatore presso il governo italiano. Il 10 settembre, dopo l'armistizio, il suo status fu cambiato in quello di ministro plenipotenziario civile del Reich per i territori dell'Italia occupata. Dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana (17 settembre 1943), l'11 dicembre Rudolf Rahn presentò le sue credenziali di ambasciatore a Benito Mussolini, capo del governo della RSI. Arrestato nel 1945, fu interrogato nel corso del processo di Norimberga senza essere incriminato e definitivamente rilasciato nel 1949.
Prima di essere inviato come ambasciatore presso il governo italiano, Rudolf Rahn era stato mandato a Beirut (1941) per trattare la consegna di armi ai ribelli iracheni. Jeanne de Schouteete, moglie dell'ambasciatore belga, e Henri Seyrig, direttore dell'Istituto culturale francese a Beirut, che lo conobbero in questa circostanza, nelle rispettive memorie, si riferiscono entrambi a lui con il nome di Otto Rahn.

(continua...)
[Modificato da Guardiavariaga 03/04/2015 20:21]
03/04/2015 21:54
 
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Mavaffffffff!!
Re:
Roberto@C, 03/04/2015 19:56:


...feci l’unica cosa che non avrei mai voluto fare, e mi lasciai inghiottire dalla tempesta d’acqua che infuriava indisturbata nel buio della notte.

(continua)



[SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491]



[SM=x520499]




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"Notte, ore 11 - Esperienza indimenticabile...luogo meraviglioso...piazza con rudere di tempio romano...chiesa rinascimentale...fontana con delfini...messaggero di pietra...musica celestiale...tenebrose presenze"
"Ricordo ancora notte indimenticabile in casa di O. Che io possa essere dannato se accetto di nuovo un suo invito"
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04/04/2015 14:53
 
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Non so se per colpa del racconto di Roberto, ma stanotte ho avuto gli incubi!! Anche il remake del SDC (quello con Robert Powell, per intenderci) inzia con una scena molto simile a quella che ci ha tratteggiato Roberto (Forster si reca, nottetempo e sotto la pioggia, da un tipo che gli propone proprio il diario di Byron).

Riguardo al frate (dato che Guardiavariaga ha citato il mio ricordo), capisco che suoni strano che un religioso possa essersi appassionato al SDC, ma il tipo mi era sembrato molto sincero (mi chiamò addirittura più volte) e mi disse che stava aiutando una sua allieva (sempre se la memoria non m'inganna - son passati più di 15 anni!) che si stava laureando con una tesi riguardo lo sceneggiato e quindi stava raccogliendo più notizie possibili (tra cui il nazista - che a questo punto potrebbe essere questo fantomatico Otto Rhan). Poi mi disse (dopo che gli diedi il suo numero) che D'Agata rimase stranamente "freddo" alle sue dichiarazioni. Mi pare di rammentare che (il frate) ammise anche che in realtà, nel periodo della messa in onda del teleromanzo, si stava davvero cercando qualcosa di soprannaturale che avrebbe potuto, a suo tempo, far gola ai nazisti...
[SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491]
[Modificato da Ragno Nero 04/04/2015 15:03]


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"Si te riconosco me meni, se nun te riconosco me meni... allora dillo che me voi menà!!!"
Bombolo
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04/04/2015 16:20
 
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Ci sono poi alcune coincidenze quantomeno singolari.
La fraulein Tita che lavorò come segretaria per Otto Rahn a Berlino nel 1933, dieci anni dopo fu alle dipendenze, sempre come segretaria, dell'ambasciatore Rudolf Rahn a Roma.
Nella sua autobiografia – Ruheloses Leben (Una vita senza quiete), Dussendorlf, 1949 – Rudolf Rahn parla di un fratellino molto amato di nome Otto morto nel 1904 (lo stesso anno di nascita di Otto Rahn).
Ma la coincidenza forse più inquietante è suggerita da una frase che si trova quasi alla fine dell'ultimo libro pubblicato da Otto Rahn – La corte di Lucifero (1937) – e dai versi di una filastrocca riportata da Rudolf Rahn in apertura della sua autobiografia:

(…) la mia piccola pendola stile Impero suona sette volte. Fra due ore sarà notte e uscirò di casa. (La corte di Lucifero)
(…) sette passi davanti a sé e due passi a destra. (Ruheloses Leben).

Come una serie di corrispondenze e rimandi tra le due identità, come se l'inizio dell'una riprendesse la fine dell'altra.

(continua)

[Modificato da Guardiavariaga 04/04/2015 16:24]
04/04/2015 19:33
 
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Le indicazioni dell’uomo delle carte erano state precise ma parziali. Disse che avrei potuto raggiungerlo in un vecchio palazzo romano, poco distante dalla Biblioteca di storia moderna e contemporanea che ben conoscevo. Lì mi avrebbe rivelato lui stesso l’entrata.
In condizioni diverse avrei apprezzato la passeggiata in uno degli angoli più caratteristici della Roma rinascimentale, alle spalle del Portico d’Ottavia, in mezzo a quel dedalo di vie pittoresche per quanto simili le une alle altre, che però all’improvviso si aprono in piccoli larghi dominati da suntuosi quanto inaspettati palazzi. Qui il gusto della scena, della quinta teatrale, ben saldo nella cultura architettonica romana (si pensi al portico di San Pietro, che una volta irrompeva nella Spina di Borgo), è particolarmente evidente quasi ad ogni angolo, e non dev’essere un caso se, a poca distanza, quell’autentico monumento tra i papi che fu Giulio II di casa della Rovere si divertì a disegnare la celeberrima via Giulia. Ma tutto questo appartiene alla prospettiva di un itinerario turistico e disincantato, da compiersi in una giornata di sole; mentre io mi ci avventuravo nel pieno della notte, ghermito dalle ombre che si sovrapponevano sul mio cammino a rendermelo sempre più difficoltoso, potendo contare solo sull’improvviso baluginio dei lampi che tagliavano la pioggia.
Quasi privo di riferimenti, non potevo contare neppure sui rumori, del tutto soverchiati dallo scroscio del temporale, ma solo sul mio instancabile compagno di viaggio: il buio.
Il buio ha sempre goduto di buona letteratura, non come fatto fisico naturalmente, sebbene sia difficile negare alle tenebre più intense una certa qualche corposità, ma piuttosto come scenario di forze e di presenze altrimenti non percepibili. Non ricordo chi l’ha definito una porta verso l’ignoto, e questa impressione, lungi dall’essere solo un pittoresco modo di dire od un puro funambolismo della fantasia, contiene in sé verità che difficilmente saremmo disposti ad ammettere quando il buio è lontano.
Le nostre città ci negano, in effetti, l’esperienza del buio qual era vissuta dai nostri antenati anche solo cinque o sei secoli fa, quando gli agglomerati urbani erano borghi non casualmente cinti da mura e talvolta da fossati. Il loro era un buio integrale, capace d’inghiottire ad ogni calar della notte ogni segno di vivacità. Esso aveva a buon diritto dignità di tenebra, cioè era letteralmente mancanza profonda di luce, in uno spazio semantico in cui la sottrazione del campo luminoso lasciava il terreno a tutto quanto, di non visto e di non visibile, che si celava nell’ombra.
Lungi dall’essere un vuoto, come all’uomo moderno talvolta piace pensare, il buio era avvertito per quel che è realmente: un pieno indefinito, capace di coprire, nascondere, ottundere, ma al tempo stesso capace di sintonizzarsi sulle nostre frequenze più intime, sulle nostre sensibilità ancestrali, per accostarci a verità inattese, a situazioni imprevedibili e non di rado terrificanti.
Nel buio un piccolo fremito o un rumore attutito eccitano anche in modo esasperato i nostri sensi, che altrimenti vi resterebbero del tutto indifferenti, perché non potendoci giovare della vista cerchiamo di comprenderlo in modo diverso, e quando non vi riusciamo ne siamo atterriti.
Dev’essere questo il motivo per cui il romanzo gotico ottocentesco ricorre tanto spesso alle ombre, alla notte, a quel singolare caleidoscopio in scala di grigi che evoca realtà ulteriori, difficilmente accessibili. E dev’essere questo il motivo della fortuna della indimenticata stagione degli sceneggiati televisivi, quella i cui ritmi erano scanditi da un bianco e nero che, con la sua capacità fortemente evocativa, turbava le menti e i sonni degli spettatori.
Nel mio divagare non mi ero accordo che le ombre erano così avvolgenti da avermi fatto perdere l’orientamento. La pioggia battente rendeva tutto più difficile, con il selciato a sampietrini divenuto scivoloso ed insidioso: si era quindi impadronita di me la convinzione che mille occhi mi guardassero da ogni anfratto, da ogni angolo, da ogni fessura, mentre io solo ero alla loro mercé senza possibilità di reazione.
Ma dove mi trovavo?
Non vedevo targhe agli angoli della strada, né indicazioni turistiche e neppure locali aperti. Tutto intorno a me era un gelido vuoto che mi ghermiva ripetutamente: sottili braccia diafane fatte di oscurità mi sfioravano confodendosi nelle continue folate di vento, e parevano scrutarmi, toccarmi, perquisirmi per strapparmi il mio segreto.
Oramai ero quasi alla disperazione, distrutto dalla fatica, oppresso dall’acqua, scosso dal vento e dai tuoni che stavano mettendo a dura prova i miei nervi, e non avevo altro desiderio che trovare un portone o una pensilina sotto cui rannicchiarmi, quando avvertii una sottile ma inquietante presenza, qualcosa che aveva una sostanza maligna e che mi si avvicinava lentamente, ma non in modo lineare bensì girandomi attorno.
Cosa fare? Sussultai e strinsi meccanicamente le carte che avevo nascosto nel soprabito, quasi che loro fossero la mia ragione di vita, il mio passaporto per la salvezza. Reso cieco e sordo dagli elementi provai d’istinto ad aggirare il cerchio, ma invano: provai prima in linea retta, sin quando avvertii il respiro di quella presenza, poi mi fermai indietreggiando, ma un borottio sommesso mi bloccò ancora; infine, in un moto di disperazione provai a girare, senza un perché, su me stesso, descrivendo un ideale cerchio più piccolo. Percepii solo allora un affanno leggero ma cupo che tendeva a tradursi in un rantolo.
“Ti prego, lasciami andare –urlai con disperazione- non ho niente addosso, niente che possa interessarti!”
Avvertii un’esitazione che cercai di sfruttare acutizzando la vista, ma, incredibile a dirsi, proprio ora il cielo era pieno di tuoni senza lampi, che non mi offrivano spiragli di alcun genere. Il frastuono della pioggia, però, non m’impedì di avvertire uno scricchiolio come di scarpe di vernice nuove anche se non ne percepivo la direzione di provenienza.
Una fitta alla spalla fece esplodere in me tutto il terrore che a stento avevo trattenuto, ed urlai.
La presenza dietro di me ebbe un sussulto di sorpresa, mi lasciò la spalla e parve indietreggiare, poi, con un’azione inaspettata, si produsse in una specie di mormorio, dapprima tenue e quasi indistinto, poi via via più forte, come grammofono che si carica di energia. Fu allora che mi toccò nuovamente la spalla e udii una voce dal tono grave che disse: “Stia calmo, non arrivava più e temevo che avesse rinunciato”.
Era la voce dell’uomo delle carte, non c’è dubbio, che aveva poggiato una mano sulla mia spalla zuppa d’acqua.
“Mi segua ora e in fretta”, aggiunse sempre mormorando.
Non riuscivo a vederlo bene a causa della pioggia, ma ne distinguevo la sagoma, che tuttavia mi appariva diversa da quanto che ricordavo: ora sembrava un uomo più alto e giovane, con le spalle dritte. Ma forse era solo la suggestione.
Girammo non so quanto tra vicoli di cui non riuscivo neppure ad intuire i contorni, fin quando c’immettemmo in un vecchio portone che doveva avere passato tempi migliori.

(continua dopo Pasqua)



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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
04/04/2015 19:46
 
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La storia de ISdC si carica di implicazioni inaspettate.
Sarebbe interessantissimo rintracciare la tesi sullo sceneggiato di cui parla Ragno Nero, mentre il lavoro di Guardiavariaga, che ha sfogliato testi non comuni, introduce suggestioni ulteriori.
Per il momento auguri a tutti!
[SM=x520497]
[Modificato da Roberto@C 04/04/2015 19:46]


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
05/04/2015 09:30
 
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Scusate, come faccio a inserire una foto che ho sul pc?
[Modificato da Guardiavariaga 05/04/2015 09:35]
05/04/2015 09:56
 
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Mavaffffffff!!
Re:
Guardiavariaga, 05/04/2015 09:30:

Scusate, come faccio a inserire una foto che ho sul pc?



Devi accedere al tuo "pannello" (lo trovi sulla parte alta dello schermo, a destra e a fianco del tuo nickname).

Poi devi scegliere "FILE MANAGER" con il quale puoi caricare delle immagini sfogliando le cartelle del tuo PC.

Quando l'hai caricata, scegli "apri": si aprirà una pagina web che ti mostrerà l'immagine.
Fai un "Copia" dell'indirizzo della foto: quando scriverai un nuovo intervento nel forum (immagino in questo topic), utilizza la penultima icona in basso a destra della finestrella in uso (la trovi dopo "Quota" - "Code" - "Spoiler", per intenderci)
Si aprirà un'altra finestrella che ti indicherà di inserire l'indirizzo dell'immagine: facci un bel "Incolla" e dai "OK"

Più facile a farsi che a dirsi. [SM=x520497]
[Modificato da Tidus forever 05/04/2015 09:59]


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05/04/2015 17:41
 
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A sinistra Otto Rahn in una delle utime fotografie, all'età di circa 35 anni. A destra Rudolf Rahn nel 1943 (nella sua autobiografia dichiara di essere nato nel 1900)

Grazie Tidus [SM=x520499]

[Modificato da Guardiavariaga 05/04/2015 17:48]
08/04/2015 20:05
 
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Mavaffffffff!!
Re:
Roberto@C, 04/04/2015 19:33:




Girammo non so quanto tra vicoli di cui non riuscivo neppure ad intuire i contorni, fin quando c’immettemmo in un vecchio portone che doveva avere passato tempi migliori.

(continua dopo Pasqua)




Toc...toc... [SM=x520490]

[SM=x520499]




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09/04/2015 08:12
 
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Mentre attendiamo trepidanti il prosieguo dell'avventura del caro Roberto, mi sono sparato la prima puntata del SDC (e non pago di ciò, anche di Voci Notturne!). Vai Roberto, non ci far penare!!!!


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Bombolo
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09/04/2015 21:20
 
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Scusatemi davvero, la puntata era preparata da giorni ma altre "distrazioni" (lavorative e non) mi hanno impedito di postarla.
[SM=x520497]

-6-

L’accesso malandato ci immise subito in una scala stretta e lunga dai gradini spessi. Salimmo a lungo, o così mi parve, prima di raggiungere un angusto pianerottolo che dava su uno scenografico loggiato. Intravedevo appena il fondo di un cortile, con frammenti di statue, di colonne e di targhe, relitti di quella romanità depredata nel rinascimento dai patrizi locali per abbellire le loro dimore. Mi trovavo in un palazzo storico, dunque, ma certamente eravamo entrati da un ingresso secondario, nascosto, buio come le ombre che si divertivano a commentare il nostro rapido passaggio.
L’uomo davanti a me non accennò a fermarsi sino a quando prese un piccolo accesso interno, mascherato da una pittura di cui colsi appena, mentre lo attraversavo rapidamente nel baluginio di un lampo, una figura demoniaca, che mostrava le zanne larghe in un raccapricciante riso di scherno.
Rabbrividii a quella figura disgustosa, e più ancora all’idea d’essermi messo in una situazione come questa, a ruota di uno sconosciuto che mi aveva perfino negato il proprio nome, e che ora mi portava nel segreto di un antro che, per quel che ne sapevo, poteva essere senza uscita.
Attraversammo un paio di piccoli corridoi fin quando, finalmente, l’uomo m’invitò in una stanza appena rischiarata da un lume ad olio, e ci chiuse dentro. Sembrava un ambiente piuttosto vasto, con due grosse librerie a parete contrapposte ed una pesante scrivania nel mezzo ricolma di libri e di fogli sparsi. Alle pareti intravedevo grossi quadri dalle cornici riccamente intagliate che raffiguravano personaggi del passato, e in alcuni di essi mi parve di cogliere delle vaghe somiglianze con l’uomo delle carte.
Il mio ospite non parlava, sembrava piuttosto raccogliere energie mentre si liberava del pastrano e si rassettava come poteva. Ora mi appariva come non l’avevo mai visto prima: dritto, assai meno vecchio di quanto non avessi creduto a piazza Augusto Imperatore, e con uno sguardo penetrante ed inquisitore, che sotto le folte sopracciglie studiava ogni mia mossa.
“Non avevo altre possibilità, mi creda –iniziò a voce bassa- che sfruttare questa occasione: ha con sé le carte?”
Non potei fare a meno di notare che, pur con tutta l’umidità che ci portavamo addosso, le sue lenti non si appannavano come le mie, quasi che contenesse il respiro. Io, invece, non facevo altro che liberare nuvole di fiato che gettavano un po’ di calore sul mio volto indurito dal freddo. Mi tolsi il cappotto e la sciarpa, e feci scivolare un po’ d’acqua sul pavimento ruvido.
“Sì –dissi- le ho portate, ma intendo mostrargliele solo dopo che mi avrà spiegato come fa a conoscerle e perché ha tanta fretta”.
L’uomo abbozzò un ghigno sardonico, quasi incurante delle forme, e mi invitò a sedere su una vecchia sedia dai braccioli riccamente lavorati che, a dispetto dello stato deplorevole in cui versava, doveva essere molto antica; poi prese una piccola bottiglia sfaccettata dalla libreria e mi offrì un cordiale.
“È un ottimo brandy –commentò mentre me lo porgeva soddisfatto- invecchiato in botti di rovere centenarie, ed è di un’ottima annata, il 1971”.
“Beh, veda –la sua voce incorreva in curiosi alti e bassi, come se fosse incapace di matenere lo stesso tono- effettivamente io conosco quelle carte, ma non le vedo da una quarantina d’anni e più. Le aveva con sé un mio amico studioso, a cui dovevano servire per una pubblicazione”.
“E il libro fu pubblicato?”
“Non esattamente, perché allo studio accaddero vicende che ora ci porterebbero lontano. E comunque tra quei documenti dovrebbe esservi anche la spiegazione di questo fatto. Ma egli se ne servì per una brillante conferenza che ancora oggi è ricordata da molti”.
“Ma se le interessano tanto perché non le ha acquistate a piazza Augusto Imperatore? E perché me le chiede solo ora, quando le avevo offerto di esaminarle subito?”
“Domande veramente molto pertinenti –commentò mentre intrecciava le mani davanti alla fronte, dopo avere preso possesso della scrivania- ma alle quali sarebbe lungo rispondere dettagliatamente. A piazza Augusto Imperatore le lasciai a lei, che era intervenuto prima di me –mentre parlava si passava una mano sulla fronte per nascondere la sua agitazione, visto che mentiva palesemente-, ma in effetti non avrebbe avuto senso vederle prima di questa notte”.
“Perché? –abbozzai timidamente- che cos’ha di speciale questa notte?”
“Ma tutto, amico mio! –ricomparve sulle labbra l’espressione sardonica- ci sono le coordinate giuste, di tempo e di spazio, e le giuste condizioni...”
Sebbene volessi nasconderlo al mio ospite, cominciai a tremare. La pesante porta di legno di quercia era stata sigillata con un grosso chiavistello; non intravedevo che una finestra ma schermata da grate in ferro, e inevitabilmente mi venne di pensare che potevo essere al centro di una sorta di gioco satanico, uno di quei divertissement di nobili annoiati che si prendono troppo sul serio, e che magari finisce male.
L’uomo parve avvertire il mio fremito e a modo suo cercò d’essere rassicurante. Rimestò sulla scrivania e ne estrasse un foglio che lesse con una strana voce, suadente ma gelida:

“Dopodomani sarà il giorno della conferenza al British Council, ed io so di trovarmi in una vicenda molto più grande di me, da cui temo di non poter uscire.
“Benché sia riuscito a ricostruire parte degli appunti che avevo portato con me da Cambridge, devo dire che il furto degli originali si è rivelato molto più importante di quanto non credessi, anche perché tra quei documenti ve n’erano alcuni che riguardavano il Tagliaferri, e che, anzi, erano proprio di sua mano.
“Ho fatto il possibile, in questi giorni, per dissimulare il mio obiettivo, convinto come sono che Byron era alla ricerca di quel qualcosa che lo portò ad avere, qui a Roma, quei contatti così pericolosi con l’ambiente esoterico del tutto sottovalutati.
“Ho motivo di credere che m’impediranno di raggiungere il mio scopo, perché loro da molti anni vi lavorano con accanimento, e penso anche che la sua copertura salterà. Devo confessarle che a quel punto non so proprio che cosa sarà di noi...”

“Vede –disse lentamente l’uomo delle carte in preda ad un forte disagio- quando ricevetti questa lettera era ormai tardi, per tutti...”

(continua, o domani o lunedì)


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
09/04/2015 21:22
 
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Re:
Ragno Nero, 09/04/2015 08:12:

Mentre attendiamo trepidanti il prosieguo dell'avventura del caro Roberto, mi sono sparato la prima puntata del SDC (e non pago di ciò, anche di Voci Notturne!). Vai Roberto, non ci far penare!!!!




Bellissimo Voci Notturne!
Dobbiamo assolutamente (ri)parlarne. Mi pare che sia d'accordo anche il nostro Tidus.

[SM=x520497]




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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
09/04/2015 21:46
 
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No... stavolta speravo di conoscere l'epilogo, invece no! [SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491] Sempre più intrigata, la faccenda!!! Per Voci Notturne sempre a disposizione!!! :)


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"Si te riconosco me meni, se nun te riconosco me meni... allora dillo che me voi menà!!!"
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11/04/2015 19:49
 
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-7-

Buio!
Tutto intorno a me, come un pieno in espansione che in realtà m’impediva la percezione delle cose. Un buio denso, quasi tangibile, che mi soffocava rendendomi difficili persino i pensieri.
Non saprei dire da quanto tempo fossi in quello stato, con i sensi mortificati dal nulla apparente. Di certo ero incapace di muovermi, non per un impedimento fisico ma mentale: a dettare i miei ritmi era uno strano torpore -non saprei altrimenti qualificarlo- che mi lasciava inalterata solo la percezione epidermica del freddo e dell’umido.
Che cos’era accaduto? E quando?
Avevo difficoltà a ricordare, ma pian piano recuperavo schegge di memoria, frammenti di immagini.
Mi apparve una faccia che sorrideva ma di un riso infido, maligno, appena abbozzato. Era il volto di un uomo di mezza età, dai capelli scuri, con le sopracciglia folte e ispide che rivelavano uno sguardo fisso, duro, magnetico. Diceva qualcosa, ma non riuscivo a sentirlo.
Ricordavo le sue mani protese verso di me –ora tutto pareva appena più nitido- a frugarmi addosso, nelle tasche interne della giacca, mentre io giacevo inerte su una sedia o una poltrona. E la tenue luce di un lume ad olio, tremolante, che m’impediva di vedere i dettagli di quello che accadeva. Coglievo con la coda della mia vista intorpidita dei lampi che, a tratti, rischiaravano l’ambiente, e in quegli istanti vedevo un complesso palinsesto di grossi tomi antichi alle spalle dell’uomo, e accanto ai libri dei voluminosi dipinti, forse dei ritratti. E mi pareva che i personaggi raffigurati in quegli olii si scrollassero di dosso la spessa coltre di polvere che li aveva resi quali illeggibili, per prendere vita e tridimensionalità e muoversi.
Potrei dire d’essere febbricitante, perché la febbre me la sentivo addosso, a fiaccarmi le membra, a mozzarmi il respiro, a bruciarmi gli occhi, a togliermi la lucidità: una febbre che avvampava fino a divorarmi, che le folate gelide che mi ghermivano le spalle aumentavano senza pietà, così come la legna aumenta l’intensità del focolare.
Ora ricordavo anche la notte, il temporale, la telefonata. Ma sarebbe bastato tutto questo a ridurmi nello stato in cui mi trovavo? In fondo avevo fatto quanto mi era stato chiesto, immergendomi nelle tenebre velenose di una notte senza luna per portare ad uno sconosciuto disperato qualcosa che non avevo compreso, che avevo colpevolmente tralasciato.
Mentre mi sforzavo di scuotermi dal torpore, non riuscendovi, utilizzavo l’immensa frustrazione ed il senso d’impotenza che via via crescevano in me, come una sorta di flusso energetico diretto ad alimentare la mia capacità di concentrazione. Se non potevo aprire gli occhi o, aprendoli, non riuscivo a cogliere nulla al di là delle tenebre che mi sommergevano, potevo tentare di aprire la mia mente.
Allora concentrai ogni mia risorsa per focalizzare i materiali di piazza Augusto Imperatore, per coglierne ogni più piccolo particolare che avessi anche solo percepito distrattamente, nello scorrere sommario dei fogli.
Tra le carte che avevo portato con me erano indubbiamente le pagine di un diario, quante non lo ricordavo o non saprei dirlo, ma non molte. Vi erano poi dei documenti più antichi, che contenevano appunti, forse lettere o forse altre annotazioni diaristiche, e tra questi ve n’erano alcuni intercalati da misteriosi disegni, figure enigmatiche alle quali non avevo dato alcun peso o alle quali avevo riservato la mia indifferenza. Rammentavo comunque varie figure, ma dovrei dire piuttosto scene, che ruotavano intorno al tema della chiave: ora un personaggio la guardava e si accostava a qualcosa, ora un altro l’osservava mentre era steso in terra, con la chiave sopra di sé come una lunga materia coprente (un coperchio?), ora la chiave era al centro di un vero e proprio rebus, con lettere e figure che non focalizzavo.
C’era, poi, il foglio con la data, il 1771, e incredibilmente potevo ricordarlo per intero, quasi parola per parola:

“Questo empito fatale avrà la meglio del mio corpo perché non potrà farsi diversamente. Vedranno in me un volgare mentitore, e diranno che l’uomo che non poteva morire fu fallibile quanto e più di tutti gli altri, visto che si spense nell’età più fresca. Ma sbaglieranno oltremodo, perché non avranno visto che ciò che si spegneva in me era il corpo e non l’anima, che invece sarà libera di rivestirsi di carne nova ma con lo stesso piglio, la stessa volontà, la stessa consapevolezza.
“Lo strumento che ho forgiato nel foco buio mi consentirà il passaggio, anche se non lo domino del tutto, e non so dire quando mi porterà a nova luce.
“Foco buio è un ossimoro che non può intendere chi non l’abbia acceso veramente, ma esso è sostanza ardente assai più della fiamma rilucente.
“Il contrasto tra buio e luce è la premessa, perché solo chi conosce le tenebre, e le patisce, e le sente scorrere in sé nelle vene, e se ne fa tuttuno, può ambire alla luce.
“La prova è nelle macchine del mio eccellentissimo amico, il Principe di Sansevero, ch’è già passato appena nove giorni or sono”

Indubbiamente quel cenno all’ossimoro, e quel contrasto mi faceva pensare anche alla mia condizione, anche se non potevo intravederne il senso. Anch’io, ora, vivevo nel buio e mi alimentavo così tanto di buio che tutto il mio mondo era nella mia mente, nei miei ricordi offuscati.
Nelle nebbie del mio stato riuscivo ad ipotizzare che le parti di testo intercalate dalle figure ripetessero un qualche cerimoniale oscuro, un protocollo trasmesso dal primo possessore della chiave agli altri possessori.
Ma ciò che mi sfuggiva era il senso del rituale: che cosa era destinata ad aprire, metaforicamente o materialmente, quella chiave? E che ruolo aveva in questa vicenda l’uomo delle carte. E, ancora: che ruolo era riservato a me?


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
12/04/2015 13:44
 
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Ringrazio moltissimo Ragno per aver segnalato “Voci notturne” che non avevo mai visto. E' veramente ben scritto e quasi altrettanto ben girato fino al finale... che è contratto è sincopato, come se fossero improvvisamente finiti i fondi per girare o si volesse lasciare la porta aperta ad un improbabile sequel (“la vera indagine comincia adesso”, è una delle ultime battute dello sceneggiato). Davvero non mi spiego il flop che ebbe quando fu mandato in onda nel 1995.
A botta calda e come primo commento, non posso non notare come gli eventi verificatisi nella Roma occupata dai nazisti siano, come anche in SDC, centrali nello sviluppo della trama. Qui l' Ahnenerbe (a cui apparteneva anche Otto Rahn) è citata esplicitamente da un personaggio in riferimento alla spedizione in Tibet voluta e finanziata da Himmler. Mentre la Società Teosofica – fondata dalla celebre medium Madame Helena Blavatsky e spesso indicata come una delle radici culturali del nazismo – è talmente in primo piano da aver suscitato, all'epoca della prima messa in onda, le proteste della sezione italiana di detta associazione ancora esistente.
Arrestato nel 1845 per la sua appartenenza alle SS, Ernst Schafer, il ricercatore che fu a capo della spedizione nazista in Tibet del 1938, fu rilasciato dopo tre anni. Trasferitosi in Venezuela, intraprese la carriera accademica e morì nel suo letto nel 1992.
[Modificato da Guardiavariaga 12/04/2015 13:45]
18/04/2015 11:15
 
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Il racconto di Roberto sta prendendo una piega davvero inquietante.
Roberto, hai detto che ti è capitato veramente? [SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491] [SM=x520491]


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18/04/2015 12:49
 
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Re:
Guardiavariaga, 12/04/2015 13:44:


Ringrazio moltissimo Ragno per aver segnalato “Voci notturne” che non avevo mai visto...




Di nulla, quando si tratta di ricordare cose belle... [SM=x520488]
Comunque, anche se non ricordo il numero effettivo di ascoltatori, non mi pare che sia stato tutto questo flop. Ricordo i lunedì dopo le puntate i commenti con gli amici, le congetture, le ipotesi... in diversi vennero fregati per l'ultima puntata andata in onda subito dopo la penultima, senza preavviso (ma si poteva immaginare in quanto la domenica dopo ci sarebbe stata la partita della Nazionale). C'è chi si fece centinaia di Km pur di avere il prima possibile l'ultima vhs.
Bei tempi!!!!

ps
Ops, sono andato "leggermente" OT!!!!
[Modificato da Ragno Nero 18/04/2015 12:50]


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20/04/2015 01:47
 
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Sarei curioso di conoscere la vostra opinione su questo strampalato articolo:

www.lospeaker.it/la-doppia-morte-in-musica/
20/04/2015 13:17
 
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Mavaffffffff!!
Re:
Guardiavariaga, 20/04/2015 01:47:

Sarei curioso di conoscere la vostra opinione su questo strampalato articolo:

www.lospeaker.it/la-doppia-morte-in-musica/



L'avevo letto, ma non ci ho dato molta importanza per il semplice fatto che di Giovan Battista Baldassarre Vitali da Cremona non ho trovato nulla in Rete.
Forse è esistito, forse no.
Chi può dirlo?
Per adesso, buio assoluto.
Non so quali siano le fonti.

[SM=x520499]




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"Notte, ore 11 - Esperienza indimenticabile...luogo meraviglioso...piazza con rudere di tempio romano...chiesa rinascimentale...fontana con delfini...messaggero di pietra...musica celestiale...tenebrose presenze"
"Ricordo ancora notte indimenticabile in casa di O. Che io possa essere dannato se accetto di nuovo un suo invito"
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