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Il Segno del Comando - di Daniele D'Anza - con Ugo Pagliai, Carla Gravina, Franco Volpi

Ultimo Aggiornamento: 24/05/2021 08:57
31/03/2015 20:34
 
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Re: Re: Re:
Ragno Nero, 29/03/2015 18:50:



Effettivamente... grande Roberto! [SM=g27823]




Ragazzi, che devo dirvi?
La mia potrà sembrarvi una variante della storia del manoscritto ritrovato a Saragoza, ma è incredibilmente vera.
Alcuni di voi forse sanno o ricordano che, tra i miei troppi vizi, ve n'è uno assolutamente inguaribile, che probabilmente sarò destinato a portarmi appresso per il resto dei miei anni: la bibliofilia. Sembra anche questo uno scherzo (e due!), ma si tratta di un fenomeno che assume i tratti della più devastante delle patologie, perché dinanzi ad un pezzo di carta proprio non resisto: devo valutarne il formato, la grammatura e il tipo di carta (pergamena, carta di stracci, carta industriale etc.), la coperta, i caratteri, l'editore (se si tratta di opera a stampa), la "freschezza" delle carte (sempre potenzialmente esposte, nel caso di volumi antichi, a muffe, gore, rosicchiature, segni di tarli, mutilazioni, alterazioni più o meno intenzionali, restauri più o meno frettolosi), la legatura, finanche l'odore (ed io sono tra i bibliofili il meno feticista in tal senso) e poi finalmente il contenuto (autore, titolo, edizione, opera). Insomma, il bibliofilo è una bestia (sempre più) rara, per via di queste nuove tecnologie, ma è anche onnivoro: non si accontenta delle carte e dei volumi che ha, ne vuole sempre di nuove, sempre più, sino a quando scoppia, lui o la casa in cui abita o la famiglia che abita con lui.
Questo, e molto peggio ancora, è il bibliofilo, e questo sono io.
Uno come me è, purtroppo, sempre in astinenza da carta, e non perde occasione di cercare, frugare, rovistare, non importa se tra archivi e librerie di parenti, amici o sconosciuti, come librai, rigattieri, antiquari o vaghi mercanti di carte.
E' iniziata così la storia, in una domenica banale illuminata da un pigro sole invernale, con le mie mani a frugare quasi disperatamente tra le carte di un rigattiere in piazza Augusto Imperatore a Roma. Nulla di che, intendiamoci: questi venditori di carta si sono fatti furbi, e le chicche, le ghiottonerie bibliofile le vendono a loro volta agli antiquari propriamente detti, o tutt'al più le mettono in asta su e-bay. Della serie: come la tecnologia perpetua stili antichi.
Ma evidentemente d'importanza quel cartafaccio ne aveva davvero poca, almeno per il venditore, e, prima di lui, per il proprietario. Figuratevi che si trattava di un mazzo di carte indisciplinate, infilate alla bell'e meglio in una cartellina stinta e tutta piena di gore di umidità. L'aspetto dell'involto era terribile a vedersi: la cartellina stinta da quattro soldi, le carte buttate dentro alla rinfusa (chissà quante volte saranno state estratte e, dopo abbondante delusione, rimesse dentro con disappunto o forse con rabbia), molti lembi tagliati o strappati, e alcune carte quasi illeggibili.
Eppure il bibliofilo sente l'usta dell'affare (che è tale solo per lui) come un cane da fiuto, e sa per esperienza che più sono malconce più le vecchie carte possono rivelarsi interessanti, almeno ai suoi occhi oramai resi opachi dalla mania che lo anima.
La cartellina m'interessava poco, mentre più di tutto m'incuriosivano quei frammenti di vita che raccoglieva: non erano né documenti di fonte pubblica, né corrispondenza. Si trattava piuttosto di appunti, di note, o forse di bozze di una corrispondenza mai inoltrata, scritte com'erano in un carattere minuto, all'apparenza ostile, rivelante un italiano non pulitissimo, non limpido, l'italiano di uno straniero colto ma non madrelingua.
Fui attratto, più di ogni cosa, da una data, che troneggiava sopra un foglio: 1771. Ma né il foglio e neppure la scrittura erano coerenti con tale indicazione. Un falso, dunque? No, sembrava piuttosto un'indicazione non casuale, riferita ad un remoto contenuto che nell'immediato non si percepiva.
Che cosa fare, allora? Rischiare i miei soldi per qualcosa che potenzialmente non aveva alcun valore? Fermarsi ad approfondire (col rischio, però, d'insospettire il venditore, che così avrebbe chiesto più danaro)? Fingere disinteresse e continuare la passeggiata per poi tornare (col rischio che qualcun altro nel mentre si appropriasse del manoscritto)?
Con questi dubbi chiesi intanto informazioni sulla provenienza dell'incarto al venditore. In genere questi personaggi sono molto cauti, anche perché a volte non possono o non sanno dare giustificazioni adeguate, ma questi mi soppesò un attimo con la coda dell'occhio, e poi, senza guardarmi in faccia, mentre interloquiva con una altro astante, mi disse di sfuggita: "Mah! Che vuole che le dica? Uno studioso di storia o di letteratura, o qualcosa del genere, perché vede qui? -Mi indicò una carta tutta spiegazzata e macchiata d'inchiostro- c'è scritto "Atanor". Ora -continuò l'individuo- è una delle poche cose che si legge bene, ed io penso che nessuno meno di un uomo colto e un po' vagante si sarebbe attardato su questo termine.

"Nessuno meno di un uomo colto e un po' vagante": la definizione mi piaceva, anche perché mi dava l'idea dello studioso perso tra i suoi pensieri, tutto concentrato ad inseguire i suoi disegni.
In quel momento seppi che avrei comprato quelle carte!

(continua?)

[Modificato da Roberto@C 31/03/2015 20:41]


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Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (...) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.

“Voci notturne”, 1995, epilogo.
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